Controlli e liti

Delega fiscale, il contraddittorio deve diventare ordinario

Fino ad ora giurisprudenza e norme hanno negato l’applicazione generalizzata

di Giuseppe Marini

Il Ddl delega sulla riforma fiscale prevede, tra i principi e criteri direttivi per la revisione dello Statuto del contribuente, «una generale applicazione del principio del contraddittorio a pena di nullità».

Finora l’applicazione generalizzata del principio del contraddittorio, pur trovando legittimazione nei principi comunitari, è stata negata dalla giurisprudenza di legittimità.

La mancata attuazione di tale principio è stata poi ulteriormente aggravata con l’introduzione dell’articolo 5-ter nel Dlgs 218 del 1997 (decreto dedicato all’accertamento con adesione). Tale norma stabilisce che, al ricorrere di determinate condizioni, l’amministrazione finanziaria ha obbligo di attivare un contraddittorio preventivo prima dell’emissione di un avviso di accertamento.

L’intervento sul contraddittorio

La rubrica della norma parla di «Invito obbligatorio». Se la rubrica fosse stata coerente con il suo precetto l’innovazione non avrebbe potuto che essere accolta con estremo favore. Tuttavia il risultato non è stato questo e non lo è stato perché la disposizione pone una serie di limiti alla sua operatività: è collocata nella disciplina dell’accertamento con adesione, non si applica ai tributi locali e all’imposta di registro, non si applica nei casi di accertamenti parziali, può determinare un’autoproroga del termine di decadenza dell’accertamento e la sua mancata attivazione comporta conseguenze invalidanti solo se il contribuente dimostra ex post la rilevanza delle argomentazioni che avrebbe potuto addurre se il contraddittorio fosse stato avviato.

L’auspicio, pertanto, non può che essere che la previsione di una «generale applicazione del principio del contraddittorio a pena di nullità» non sia più soggetta ad analoghe limitazioni. Ben venga la previsione all’interno dello Statuto di un generalizzato obbligo di contraddittorio da applicarsi indistintamente ai tributi armonizzati e non armonizzati e senza la «prova di resistenza».

L’impugnabilità del rifiuto di autotutela

Con riferimento, poi, alla proposta di impugnabilità del diniego di autotutela (proposta, invero, formulata in termini abbastanza generici nel testo del Ddl), sarebbe auspicabile che il legislatore voglia meglio precisare i limiti alla impugnabilità di detto diniego, la quale, occorre ricordarlo, era già ammessa dalla giurisprudenza di legittimità, seppure subordinata «a ragioni di rilevante interesse generale».

L’intenzione del Governo derivante dal Ddl, per avere un qualche effetto innovativo, dovrebbe allora essere la seguente: ove un atto impositivo divenuto definitivo sia affetto da «errori manifesti» (a titolo esemplificativo quelli indicati all’articolo 2 dal Dm 37 del 1997), se ne sia chiesto l’annullamento in sede di autotutela e l’Ufficio abbia opposto il proprio diniego (espresso o tacito), il contribuente potrà ricorrere al giudice per far valere la sussistenza di tali «errori manifesti» e chiederne l’annullamento pur in assenza di quelle «ragioni di rilevante interesse generale dell’amministrazione finanziaria» finora richieste, ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione, dalla giurisprudenza di legittimità.

In questi casi l’autotutela dovrebbe essere obbligatoria e andrebbe riconosciuta la possibilità da parte del giudice di sostituirsi all’amministrazione finanziaria e entrare nel merito della pretesa tributaria.

La motivazione dell’accertamento

Quanto alla previsione di indicare la prova nella motivazione dell’accertamento, l’impatto della delega non sembra avere una portata dirompente.

Oggi gli accertamenti riguardano o il nero (e sono di tipo per lo più indiziario) o l’evasione interpretativa e dunque la prova è giuridico-argomentativa (confondendosi con la motivazione), o l’abuso (il discorso è lo stesso dell’evasione interpretativa) o l’evasione da riscossione (dove la prova esiste per tabulas e prova e motivazione si confondono).

Se si ritiene che la prova in senso stretto attiene ai fatti, la rilevanza della distinzione tra motivazione e prova si pone solo quando viene accertato il nero (negli altri tipi di evasione la prova si confonde con la motivazione).

Quindi circoscritto l’ambito della rilevanza di questa previsione, ci si può chiedere se la nuova disciplina ponga dei limiti per l’integrazione probatoria da parte dell’amministrazione finanziaria. Una risposta positiva troverebbe il suo fondamento nella necessità di garantire che non venga spostato il baricentro della funzione tributaria dalla fase amministrativa alla fase giurisdizionale, in quanto ciò contrasterebbe con i principi di buon andamento ed imparzialità.

Tuttavia si nutre qualche riserva sull’ammissibilità di preclusioni a carico dell’Ufficio in ordine alla integrabilità in giudizio del proprio impianto probatorio, le cui ragioni si trovano proprio nella disciplina del processo (ed in particolare nella previsione dell’articolo 32 del Dlgs 546/1992 sulla facoltà delle parti di produrre documenti, dell’articolo 24 sulla possibilità di formulare motivi aggiunti resi necessari dalla produzione di documenti non conosciuti ad opera della controparte, e del modificato articolo 7, comma 4, sull’ammissibilità della prova testimoniale scritta che evidentemente non è riservata solo al contribuente e che il giudice può ammettere solo a giudizio instaurato e ad istruttoria chiusa).

In conclusione, la norma che il Governo intende introdurre nello Statuto in tema di motivazione degli atti impositivi tributari e di onere della prova va letta nel senso che l’amministrazione finanziaria, prima di emanare un atto impositivo, deve avere le “carte in mano”, sufficienti a giustificare l’azione impositiva, e deve avere cura, oggi più di ieri, di indicare le sue prove nell’atto emanando.

Purtuttavia, nel corso del processo, fermo restando che già prima ci deve essere un impianto probatorio sufficiente oggetto di valutazione da parte del giudice, alla stessa amministrazione non sembra preclusa la facoltà di produrre anche prove ulteriori e/o formate successivamente.

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