Il rimborso spese prefissato trasforma i volontari in subordinati
La Corte d’appello di Roma fissa i limiti superati i quali scatta il rapporto di lavoro
Spontaneità e gratuità del volontariato come requisiti essenziali per evitare la riqualificazione come lavoro subordinato. Con due decisioni (sentenze n. 1820/2020 e n. 3209/2021) la Corte di Appello di Roma interviene sulla delicata questione relativa all’effettivo inquadramento dei volontari nel contesto associativo.
Un tema questo di grande attualità se si tiene conto anche del ruolo che i volontari assumono nell’ambito della riforma del Terzo settore. E proprio su tali aspetti, di particolare interesse è l’ultimo intervento della Corte di Appello di Roma (sentenza n. 3209/2021) che fissa in maniera ben precisa i criteri utili a distinguere le ipotesi in cui dietro la figura del volontario si nasconde quella del lavoratore.
Più nello specifico, i giudici di merito, vengono chiamati ad accertare l’eventuale natura subordinata del rapporto intercorso con un ente non profit nella veste di volontario. In particolare, la controversia muove dall’analisi delle modalità con cui l’attività viene svolta (turni prestabiliti, remunerazione fissa) risultando necessario, ai fini di un’eventuale riqualificazione del rapporto, valutare il caso concreto per comprendere se sussistano effettivamente i tratti tipici della figura del volontario o meno.
A ben vedere, infatti, l’esclusivo apporto del «presunto volontario» nel complessivo svolgimento dell’attività istituzionale senza alcuna turnazione, così come le somme percepite a titolo di «rimborso spese» già prefissate dall’ente, propendono per non qualificare l’attività resa come volontariato quanto piuttosto quale lavoro subordinato.
A tal proposito, infatti, per poter affermare che l’attività sia svolta da parte di un volontario è necessario, così come previsto dal Dlgs 117/2017 (Codice del Terzo settore), che questo presti la propria opera a favore della collettività a titolo personale, spontaneo e gratuito, con il solo diritto a vedersi riconosciuto il rimborso delle spese sostenute e documentate. Con la conseguenza che, come possibili fattori per la riqualificazione del rapporto, stante le peculiarità che caratterizzano tale figura, potrà essere valutata l’assenza di una turnazione tra soggetti nello svolgimento dell’attività di interesse generale o l’unilateralità nella corresponsione di un rimborso spese. Un aspetto quest’ultimo incompatibile con la figura del volontario che non può percepire un rimborso di tipo forfettario o che non sia parametrato agli effettivi costi sostenuti per lo svolgimento dell’attività.
E proprio la gratuità della prestazione diventa un elemento da valutare ai fini del discrimen tra lavoro subordinato e volontario. Una figura quest’ultima che, come previsto dal Codice del Terzo settore, è pensata per essere incompatibile con qualsiasi rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui quest’ultimo è socio o tramite il quale svolge la propria attività (articolo 17, comma 5, del Cts). Con la conseguenza che laddove manchino gli elementi della spontaneità e gratuità il rapporto seguirà le regole dettate disciplina giuslavoristica per il lavoro subordinato.
Del resto la ratio sottesa alla previsione che regolamenta il volontario è collegata alla necessità di qualificare come tale unicamente chi sceglie di fornire la propria prestazione a titolo gratuito, senza alcun vincolo obbligatorio o di altro genere; tutelando anche il lavoratore da possibili abusi legati ad attività che non rispondono alle peculiari caratteristiche dell’azione volontaria.
In questo contesto, quindi, i criteri delineati dalla giurisprudenza (svolgimento di mansioni indispensabili, orari prestabiliti, rimborsi non vincolati alle spese effettive) potranno costituire un utile parametro per gli enti non profit per delineare i confini tra la figura del volontario e quello del lavoratore subordinato.