Il rinvio del Codice della crisi rimanda anche la transazione fiscale senza ok del Fisco
Il Dl liquidità posticipa la possibilità di ottenere il sì del tribunale alla ristrutturazione dei debiti fiscali
La bozza del “decreto liquidità” approvato lunedì dal Consiglio dei ministri prevede la proroga di un anno dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa, per evitare che le imprese si trovino ad affrontare la crisi da coronavirus con un nuovo sistema di regole e le sue significative innovazioni. Ciò è comprensibile, ma vi sono disposizioni del Codice la cui posticipazione – proprio perché esse sono state introdotte per agevolare il superamento delle crisi aziendali – sarebbe in questo momento illogica e controproducente.
Si tratta delle norme che consentono l’approvazione, da parte del tribunale, della ristrutturazione dei debiti fiscali attuata tramite la cosiddetta “transazione fiscale” anche in assenza dell’adesione del Fisco e degli enti previdenziali: sia nell’ambito di un accordo di cui all’attuale articolo 182-bis della legge fallimentare, sia nel concordato preventivo, quando essa è più conveniente dell’alternativa liquidazione giudiziale ed è determinante ai fini del perfezionamento della ristrutturazione.
Grazie a tale istituto le imprese che si trovano in una situazione di crisi finanziaria possono proporre all’agenzia delle Entrate una falcidia e/o una dilazione più ampia di quella ordinaria dei debiti fiscali, di qualsiasi natura, provando la necessità della falcidia e della dilazione richieste per mezzo di un piano di risanamento attestato da un professionista indipendente: in alcuni casi i debiti fiscali sono stati ridotti del 70%, e in altri il loro pagamento è stato dilazionato in oltre venti anni.
I benefici discendenti dalla transazione fiscale sono quindi evidenti e ben superiori a quelli ricavabili da provvedimenti come la “rottamazione delle cartelle” o il “saldo e stralcio”, i quali finiscono per avvantaggiare anche chi non ne avrebbe bisogno, hanno un campo di applicazione limitato (non trovando applicazione per i debiti non iscritti a ruolo e prevedendo solo la falcidia di sanzioni e interessi) e sono insufficienti per i casi più critici e di maggiore entità, che richiedono invece soluzioni più ampie e “su misura”, come quelle consentite dalla transazione fiscale.
Per questi motivi una disposizione che ne consenta l’approvazione, da parte del tribunale, anche in assenza di una tempestiva pronuncia delle Entrate o persino di un diniego, quando essa sia comunque conveniente per l’Erario, sarebbe sin d’ora assai utile ai fini del risanamento delle imprese in crisi. Perché dunque rinviarne l’entrata in vigore?
Anzi, la possibilità di accesso alla transazione fiscale dovrebbe essere ampliata, posto che attualmente è consentita solo se l’accordo di ristrutturazione dei debiti cui è connessa viene sottoscritto da creditori che rappresentano almeno il 60% dell’ammontare complessivo dei debiti dell’impresa. In un momento straordinario come questo, infatti, sarebbe assai utile che le imprese potessero accedervi indipendentemente dal raggiungimento di tale soglia, per usufruire dei benefici da essa prodotti anche senza il necessario concorso degli altri creditori, quando i crediti del Fisco non raggiungono da soli il 60% dei debiti complessivi.
Il gettito erariale non ne risentirebbe granché, perché, in assenza di queste misure, le imprese che potrebbero avvalersene probabilmente non riuscirebbero comunque a pagare i loro debiti, e – anziché risanarsi – agonizzerebbero inutilmente per portare poi i libri in tribunale.