Il testamento «resiste» alla nascita di un altro figlio
Il testamento di chi non aveva o ignorava di avere figli o discendenti è revocato di diritto per l’esistenza o sopravvenienza di un figlio o discendente, salvo che il testatore abbia provveduto al caso (articolo 687 del Codice civile). La regola trova sicura applicazione allorché al momento del testamento non ci fosse nessun figlio o discendente. Gli interpreti discutono se la regola trovi applicazione allorché sopravvengano figli ulteriori al primo. La Cassazione lo esclude (ordinanza 18893/2017).
Nel 1990 Tizio fa testamento in favore dei suoi tre figli e di un estraneo che considera «come figlio». Nel 1999 nasce un’ulteriore figlia. I tre figli agiscono in giudizio per sentir dichiarare inefficace il testamento. L’accoglimento della domanda avrebbe comportato l’apertura della successione legittima e l’esclusione dell’estraneo dalla successione. Respinta la domanda in primo e secondo grado, la Cassazione rigetta il ricorso. Il testamento è efficace. Dice la Corte, la lettera della norma è chiara. La regola è eccezionale e, comunque, si applica solo se la situazione familiare esistente al tempo del testamento si è modificata così radicalmente da presumersi una diversa volontà del testatore. Solo con la nascita del primo figlio si prova «il sentimento di amor filiale con la dedizione che esso determina ed il superamento che esso provoca di ogni altro affetto». La nascita di un altro figlio non è rilevante. A ogni modo, aggiunge la Corte, nel caso concreto, la revocazione era in radice preclusa poiché il testatore aveva provveduto al caso che sopravvenissero figli. Attribuendo all’estraneo una quota comunque non superiore alla disponibile egli avrebbe infatti inteso garantire a tutti i figli, quale ne fosse il numero, la sola legittima. «Provvedere» non significa «attribuire», bensì «prevedere», «tenere conto».
La domanda, in realtà, è non tanto cosa il Codice abbia voluto dire, quanto cosa abbia voluto dare.
I figli e i discendenti, in quanto legittimari, possono sempre agire in riduzione delle disposizioni lesive. È una regola inderogabile. La regola in esame offre loro un plus di tutela. In caso di sopravvenienza, tutte le disposizioni patrimoniali sono prive di effetto. Questa seconda regola non si applica se il testatore abbia provveduto al caso: dunque è una regola dispositiva. L’interesse non è quello dei figli, ma quello del testatore. La sopravvenienza è un presupposto della fattispecie, non la sua ratio. L’amor filiale non sgorga né per legge, né per sentenza. Qui è in gioco la quota disponibile, non la legittima.
È improbabile che, nel 1939, gli estensori del Codice volessero sollecitare un’analisi psicologica post-mortem del testatore. È plausibile che avessero grande considerazione degli interessi della famiglia, i cui contorni sono tuttavia mutati. Con la revocazione di diritto, si apre la successione legittima ed eredi, nelle quote di legge, potranno essere non solo i figli e i discendenti (compresi quelli il cui status è accertato giudizialmente), ma anche il coniuge, sia o meno genitore del figlio sopravvenuto.
La caducazione legale del testamento scompagina qualsiasi precedente attribuzione, con effetti talvolta sorprendenti. Si collega a una valutazione legale della nascita dei figli e alla diversa cornice familiare che oggettivamente ne discende, quale sia il numero dei figli. Qui sta il perché non si ha revocazione per sopravvenienza di figli ulteriori al primo. Non per una sorta di novella primogenitura o per una presunta volontà del testatore. Che, in alcuni paesi (come il Regno Unito), la revoca legale per sopravvenienza scatti solo con il matrimonio o una civil partnership o con la loro dissoluzione, e non ammetta presunzioni, è un dato che fa riflettere.