Imposte

Immobili strumentali, deduzione Imu dall’Ires ancora in salita sul pregresso

di Alberto Trabucchi e Lorenzo Trinchera

La sentenza 163/2019 la Corte costituzionale ha “rispedito al mittente” le censure di incostituzionalità dell’articolo 14, comma 1, primo periodo, del Dlgs 23/2011, essenzialmente perché ritenute mal formulate.

Muovendo però dall’assunto che, laddove fossero stati ravvisati i presupposti di una manifesta infondatezza della questione, i giudici Costituzionali avrebbero forse potuto spegnere sul nascere le apparentemente legittime aspirazioni di quanti intravedono un sospetto di incostituzionalità nelle norme che (escludevano e tuttora) limitano la deduzione dell’Imu dall’Ires rispetto agli altri fattori produttivi, la decisione si presta, come pure già sostenuto, ad una possibile lettura interlocutoria della vicenda, per non dire dilatoria.

La vicenda rimanda infatti a quanto avvenuto ad esempio in relazione alla deducibilità dell’Irap dall’Ires. Anche in quel caso, a fronte di una norma dal sentore di forte incostituzionalità, il legislatore intervenne prontamente per porre rimedio a una situazione che pareva destinata a sfuggire di mano e, a fronte di tali misure, si susseguirono pronunce di restituzione degli atti al giudice rimettente (Corte costituzionale 258/2009, 232/2012, 56/2014) e inammissibilità (242/2010).

La differenza rispetto ad allora è che il legislatore odierno ha finora affrontato la questione solo pro futuro, con la legge di bilancio 2019 prima e con il decreto crescita poi, senza disciplinare i correlati effetti dell’indeducibilità dell’Imu dall’Ires sui precedenti periodi d’imposta, come invece fu fatto per l’Irap con l’articolo 6 del Dl 185 del 2008 e con gli articoli 2 del Dl 201/2011 e 4, comma 12, del Dl 16/2012. Tale circostanza non è di certo passata inosservata ai giudici costituzionali, che hanno infatti opportunamente rilevato l’improcedibilità della restituzione degli atti al rimettente, non essendo applicabili ratione temporis in tale giudizio le modifiche all’articolo 14 del Dlgs 23/2011.

La strada della inammissibilità potrebbe quindi essere apparsa come l’unica praticabile a fronte di una norma ancora sospettata di incostituzionalità. Quantomeno nell’auspicio che, con eventuali interventi normativi futuri, il legislatore decida di occuparsi anche del pregresso, ripristinando l’equilibrio costituzionale che il giudice a quo assumeva esser stato violato.

È ben probabile infatti allo stato che, stante la pronuncia in rito, la questione verrà riproposta in futuro – in forme più o meno analoghe – e, per quanto ogni previsione al riguardo non possa che essere ipotetica, dalla prospettiva attuale viene arduo ipotizzare scenari di limitazione dell’efficacia retroattiva di eventuali pronunce che dovessero accogliere le – apparentemente fondate – questioni di costituzionalità sollevate dai contribuenti, sulla falsa riga di quanto avvenuto con la sentenza 10/2015 in materia di Robin Hood Tax, che pure ha destato sì tante discussioni.

In un contesto politico caratterizzato da forti expenditures, qual è quello attuale, il bilanciamento di taluni concorrenti interessi costituzionali, come ad esempio quello dell’equilibrio di bilancio, pare infatti a prima vista poco giustificabile in un’ottica di proporzionalità. Tanto più che, nel caso di specie, l’impatto dell’indeducibilità dell’Imu dall’Ires è generalizzato e non ristretto ad uno specifico settore economico (che peraltro, secondo la Consulta, aveva goduto di vantaggi congiunturali), come lo era invece la Robin Hood Tax.

La vicenda è senz’altro lontana dal concludersi e dagli esiti non del tutto scontati, per cui, visto anche l’approssimarsi della prossima legge di Bilancio – in cui parrebbero in discussione ulteriori misure di spesa pubblica, tra cui l’introduzione della flat tax – potrebbe essere forse opportuna una valutazione su un possibile rimedio normativo che investa anche gli anni pregressi, al pari di quanto già avvenuto per il futuro con la legge di bilancio 2019 e con il decreto crescita.

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