Controlli e liti

Importatori paralleli e distributori responsabili in solido per i danni

Il Tribunale di Roma condanna l’intera rete che vendeva un marchio Usa; respinta l’eccezione di «esaurimento»: smercio mai autorizzato né tollerato

di Alessandro Galimberti

Importatori e venditori al dettaglio condannati in solido per importazione parallela di un noto marchio di abbigliamento. Il Tribunale delle imprese di Roma (sentenza 18090/22) ha risolto in questo modo il contenzioso tra Ralph Lauren e una «articolata struttura» per l’importazione non autorizzata nello spazio economico europeo (See) di decine di migliaia di articoli di abbigliamento con il celebre marchio raffigurante un’azione di polo. Secondo l’azienda - rappresentata a giudizio dai legali Gian Paolo Di Santo e Gabriele Girardello - la merce venne acquistata negli outlet degli Usa tra il 2013 e il 2018 all’insaputa del titolare del marchio, importata poi in Europa grazie a una struttura commerciale che verteva su società americane compiacenti e, in Italia, terminali societari che smistavano a distributori regionali, basati a loro volta nel Lazio ma con diffusione in tutt’Italia. Prodotti originali e non contraffatti quelli oggetto di disputa , quindi, con la contestazione dell’illecito relativa solo all’importazione parallela.

Nella loro difesa, le due principali convenute avevano fatto riferimento al principio dell’«esaurimento comunitario», nello specifico la possibilità di rivendere prodotti già messi in commercio in un paese Ue dal titolare dei marchi. Tuttavia, ha sottolineato il Tribunale capitolino, l’esaurimento comunitario (articoli 7 della Direttiva 2008/95/Ce , 15 del Regolamento Ue 1001/2017 e articolo 5 del Codice della proprietà industriale) opera solo se il titolare del marchio mette in commercio direttamente o presta il consenso all’importazione/immissione nello spazio europeo, dovendo l’autorizzazione essere espressamente rilasciata dal titolare o, se tacita, desumibile da elementi incontrovertibili e verificabili (sentenza nella causa C-337/95). L’istruttoria ha portato i giudici ad escludere il coinvolgimento nelle asserite trattative di soggetti apicali di RL «idonei ad esprimere un valido consenso all'esportazioni di prodotti al di fuori dei normali circuiti di distribuzione selettiva», e ha rilevato che un ulteriore «elemento di sicura riconoscibilità da parte dei terzi rivenditori della provenienza illecita dei beni è dato dal prezzo di acquisto»: i distributori vendevano alla propria rete parallela una t-shirt Ralph Lauren con il 30% di ribasso rispetto ai rivenditori accreditati, con il prezzo finale al dettaglio che sfiorava il 50% di (illecito) sconto per il consumatore. Nel dispositivo i giudici hanno inflitto alle due importatrici la condanna a complessivi 3 milioni di euro di risarcimento, e di oltre 600 mila euro totali ai 12 dettaglianti,che non potevano non sapere: il marchio Usa è infatti diverso da quello venduto in Europa

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