Controlli e liti

Imposta di registro sul singolo atto, la Consulta promuove l’applicazione retroattiva

Nuovo intervento con la pronuncia 39/2021 dopo la sentenza 158 del 2020: non assume valenza in sé determinante la natura innovativa o interpretativa della norma che si qualifica di interpretazione autentica (con efficacia retroattiva)

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di Giovanni Parente

L’imposta di registro va applicata sul singolo atto societario. E la norma di interpretazione autentica introdotta dalla legge di Bilancio 2019 (articolo 1, comma 1084, della legge 145/2018) per prevedere la retroattività della modifica (introdotta con la manovra 2018) all’articolo 20 del Dpr 181/1986 (Testo unico del registro) è pienamente costituzionale. A ribardirlo è la sentenza 39/2021 della Consulta depositata il 16 marzo.

La Corte costituzionale è tornata ad occuparsi della vicenda dopo averla già decisa con la sentenza 158/2020 dello scorso anno. Questa volta era stata la Ctp Bologna ad avanzare l’eccezione di illegittimità. Ma la Consulta (presidente Coraggio, relatore Antonini) nella motivazione sottolinea che ai fini del vaglio di legittimità costituzionale non assume valenza in sé determinante la natura innovativa o interpretativa della norma che si qualifica di interpretazione autentica (con efficacia retroattiva).

Nel caso esaminato, secondo la sentenza 39/2021, «rilevava l’intera, decennale, vicenda che ha interessato la complessa questione dell'applicazione dell'imposta di registro, caratterizzata, come questa Corte ha evidenziato nella sentenza 158 del 2020, da uno stratificarsi di interpretazioni, che la giurisprudenza ha sviluppato anche in risposta alle varie forme in cui l'ordinamento si andava evolvendo per volontà del legislatore (che, dapprima, ha introdotto, nella disciplina dell'imposta, l'esplicito riferimento agli «effetti giuridici» dell'atto e poi, più in generale, per tutti i tributi, ha disciplinato l'abuso del diritto).

E proprio la sentenza 158/2020 aveva precisato che l’articolo 1, comma 87, lettera a), della legge 205 del 2017, «appare finalizzato a ricondurre il citato articolo 20 all'interno del suo alveo originario, dove l'interpretazione, in linea con le specificità del diritto tributario, risulta circoscritta agli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione (ovverossia al gestum, rilevante secondo la tipizzazione stabilita dalle voci indicate nella tariffa allegata al testo unico)», concludendo che «proprio la clausola finale del censurato art. 20 “salvo quanto disposto dagli articoli successivi” concorre ad avvalorare la suddetta valenza sistematica dell'intervento legislativo del 2017 nell'assetto della disciplina del tributo».

La «valenza sistematica» era stata peraltro evidenziata anche nel raccordo con l'abuso del diritto, precisando «sul piano costituzionale, che l'interpretazione evolutiva, patrocinata dal rimettente, di detto articolo 20 del Dpr 131 del 1986, incentrata sulla nozione di “causa reale”, provocherebbe incoerenze nell'ordinamento, quantomeno a partire dall'introduzione dell'articolo 10-bis della legge 212 del 2000. Infatti, consentirebbe all'amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall'altro, di svincolarsi da ogni riscontro di “indebiti” vantaggi fiscali e di operazioni “prive di sostanza economica”, precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell'ordinamento tributario nazionale e dell'Unione europea)».

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