Impugnabile la revoca dell’interpello sul bonus
È ammissibile il ricorso contro la revoca della risposta data dall’amministrazione a seguito di interpello del contribuente. È quanto emerge dalla sentenza 1999/2/2016 della Ctp Ancona (presidente Gasparini, relatore Samuele) dello scorso 11 ottobre.
La controversia scaturisce dall’impugnazione di un provvedimento con cui l’agenzia delle Entrate aveva revocato a una società il beneficio fiscale del credito d’imposta in materia di risparmio energetico (55% all’epoca dei fatti). Beneficio la cui spettanza era stata chiesta dalla società stessa con un interpello a cui le Entrate avevano dato responso favorevole.
Da qui il contenzioso in Ctp. In particolare, la ricorrente ha impugnato l’atto di revoca del beneficio fiscale, chiedendo «l’annullamento della revoca dell’interpello» operata dall’Agenzia. Che, dal canto suo, ha domandato la conferma dell’atto, eccependo l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’articolo 19 del Dlgs 546/1992.
Nell’accogliere l’istanza, la Ctp afferma, innanzitutto, che il ricorso è ammissibile «in quanto ricompreso» tra quelli della lettera h) dello stesso articolo 19, che fa riferimento a diniego o revoca di agevolazioni. Ciò perché – si legge nella sentenza – l’interpello originario aveva riconosciuto «la spettanza di una specifica agevolazione in ambito tributario».
Nel merito, la Ctp accoglie la domanda e annulla l’atto delle Entrate, ma ciò che qui interessa è l’aspetto processuale. La sentenza della Ctp marchigiana, infatti, nel sancire l’impugnabilità della revoca, prende posizione in senso favorevole alla difesa del contribuente.
Il che offre l’occasione di fare un parallelo con la questione (affine, ma non identica) dell’impugnabilità della risposta all’interpello, sulla quale – già prima che intervenisse la delega fiscale con il Dlgs 156/2015 – l’orientamento prevalente dei giudici di merito era di segno opposto.
Secondo le commissioni tributarie, è vero che l’elenco (pur tassativo) degli atti impugnabili in base all’articolo 19 del Dlgs 546/1992 si deve interpretare in senso estensivo (in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria con la legge 448/2001). Tuttavia, «la risposta resa in sede di interpello – come afferma la Ctp Brescia nella sentenza 47/2/2013 – non è atto impugnabile in quanto, stante la natura di parere al quale il contribuente può non adeguarsi, non è in alcun modo lesivo della posizione del contribuente».
Per la Cassazione, invece, la risposta all’interpello costituisce il primo atto con cui il fisco, dopo una fase istruttoria e una valutazione tecnica, porta a conoscenza del contribuente, in via preventiva, il proprio convincimento su una specifica richiesta. La risposta, dunque, incide «sulla condotta del soggetto istante in ordine alla dichiarazione dei redditi». Pertanto non si può negare - conclude la Cassazione nella sentenza 17010/2012 - «che il contribuente, destinatario della risposta, abbia l’interesse (ex articolo 100 del Codice di procedura civile) a invocare il controllo giurisdizionale sulla legittimità dell’atto».