Imposte

Imu e Tasi, rischio aumento nel 79,6 per cento dei Comuni

di Gianni Trovati

Fra i proprietari di seconde case, negozi, alberghi e così via l’allarme ha già cominciato a suonare. Dal 1° gennaio potranno ricominciare a muoversi le aliquote dei Comuni, che con l’Imu-Tasi si fanno sentire prima di tutto proprio sul mattone. Giusto mentre i dati del mercato immobiliare continuano a essere deludenti (per Idealista, che ha passato in rassegna 459mila annunci in 1.389 Comuni i prezzi medi nell’ultimo trimestre di quest’anno sono scesi del 3,7%), e la crescita economica che rallenta non lascia supporre cambi di passo a breve.

La liberazione del fisco locale, poi, arriva da una manovra che fra tagli (110 milioni sul Fondo Imu-Tasi), obblighi di accantonamento (410 milioni in più a garanzia dei buchi della riscossione), spese inevitabili (180 milioni di indennità per i contratti scaduti del personale) e mancate integrazioni di fondi (i 560 milioni della spending 2014 silenziosamente confermati per l’anno prossimo) presenta ai sindaci un conto che sfiora gli 1,3 miliardi. Se arrivasse ovunque al massimo, l’Imu-Tasi potrebbe raccogliere 2 miliardi in più dei 16,3 che oggi porta nelle casse dei sindaci (a cui se ne aggiungono 4 che vanno direttamente allo Stato). Magari non subito, anche perché l’anno prossimo vanno al voto più di 3mila Comuni. Ma mentre già l’Authoroty parlamentare calcola un aumento della pressione fiscale (dal 40 al 42,4% nel 2019) anche a tasse locali invariate, l’esperienza insegna che l’incrocio fra tagli e sblocco del fisco locale è pericoloso per le tasche dei contribuenti. Di quali, però?

Da dieci anni a questa parte, cioè da quando nel 2008 l’abolizione dell’Ici sull’abitazione principale accese la passione dei governi centrali per il fisco dei Comuni, le aliquote dei sindaci hanno vissuto in altalena. Bloccate insieme all’abolizione dell’Ici sull’abitazione principale, sono state liberate nel 2011 e ricongelate nel 2016. A ogni giro di valzer, un gruppo di Comuni ha alzato le tasse locali, anche per compensare manovre che fra 2011 e 2017 hanno chiesto in totale 12,4 miliardi alle amministrazioni locali. Il gioco rischia di ripetersi nei prossimi anni, ma con una differenza non da poco.

Lo slancio fiscale potrà scatenarsi soprattutto nei Comuni piccoli e medi, e in particolare al Nord. In queste aree, care agli amministratori della Lega in chiave «padana», sono molti gli enti locali ancora in salute che sono stati colpiti dall’ultimo stop quando le aliquote erano lontane dai massimi. Al Sud gli spazi sono invece molto più ridotti perché la crisi dei conti ha spinto da tempo a sfruttare a fondo il fisco.

Lo stesso è accaduto nelle grandi città, che spesso sono le più colpite dai tagli. I loro cittadini, quindi, non devono in genere preoccuparsi della manovra, per la semplice ragione che già pagano il massimo consentito dalla legge: a Milano, per esempio, tra tagli al fondo Imu-Tasi e mancate integrazioni della vecchia spending mancano almeno 38 milioni di euro, ma Palazzo Marino non potrà chiedere nulla di più ai proprietari di immobili già parecchio tassati.

A Torino e Roma, le metropoli targate M5S, va un po’ meglio, ma fino a un certo punto. Al capoluogo piemontese la legge di bilancio destina 35 milioni in cinque anni come indennizzo di vecchi tagli illegittimi. Ma la giunta Appendino ne attendeva 74, meglio se subito, i bilanci continuano a ballare pericolosamente e le tasse non potranno aiutare perché sono già al massimo. Come a Roma, dove però arrivano 60 milioni in due anni per le buche sulle strade ma ancora più difficili da ripianare appaiono i buchi dei conti, come mostra l’ennesima bocciatura dei revisori al consolidato perché non tiene conto di Atac, Ama, Roma Metropolitane, Farmacap e Centrale del Latte, cioè in pratica le partecipate più importanti del Campidoglio.

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