Controlli e liti

Interposizione società estera: conta l’effettiva attività svolta

Non bastano gli elementi costitutivi e il rispetto degli obblighi contabili. Non c’è interposizione se i manager sono fuori dalla gestione e i proventi non distribuiti

di Marco Piazza

Per stabilire se una società estera sia una entità fiscalmente interposta non è sufficiente basarsi su elementi solo formali, quali ad esempio l’esistenza degli elementi costitutivi di una società (capitale sociale, oggetto sociale, compagine societaria, eccetera) e il rispetto degli obblighi contabili e di bilancio, ma occorre basarsi sull’analisi della specifica attività svolta dalla società, dei rapporti intercorrenti tra la stessa e i soci nonché dei rapporti tra la società e i terzi.

Dalla risposta a interpello 274/2022 si comprende quanto i risultati di questa analisi possano avere impatto sulla fiscalità dei soci residenti in Italia e quanto, di conseguenza, possa essere utile ottenere un parere preventivo dell’Agenzia in base all’articolo 37, comma 4, del Dpr 600 del 1973.

Lo schema oggetto del quesito vede un manager di una società di gestione di fondi d’investimento effettuare coinvestimenti mediante la sottoscrizione, in qualità di limited partner, insieme ad altri manager, di quote di minoranza di una società di persone (limited partnership: Lp) con sede nelle isole Cayman. La società investe il denaro conferito dai soci in quote dei fondi comuni d’investimento istituiti in Europa gestiti da società del gruppo vigilate conformemente alla direttiva 61/2011/Ue e distribuisce ai soci i proventi derivanti dalle quote dei fondi comuni corrispondenti agli investimenti effettuati da ciascuno di essi. In pratica viene utilizzata un’unica struttura per consentire ai singoli manager di effettuare coinvestimenti nei fondi gestiti da ciascuno di essi.

In casi di questo tipo, se la Lp venisse considerata «interposta» i proventi distribuiti al manager sarebbero tassati come proventi dei fondi comuni sottostanti, soggetti ad imposta secca del 26% in base all’articolo 10-ter, comma 2 della legge 77 del 1983 (ove non si tratti di proventi relativi a quote con diritti patrimoniali rafforzati inquadrabili, a certe condizioni, come redditi di lavoro dipendente). Viceversa se la Lp venisse considerata come un autonomo centro di imputazione di redditi di fonte estera, il reddito distribuito concorrerebbe in misura integrale alla formazione del reddito complessivo del manager (tassato ad aliquota progressiva più addizionali) ai sensi degli articoli 47, comma 4, e 47-bis, comma 1, lettera b), del Testo unico. Sarebbe infatti un «utile da partecipazione» erogato da una entità – non soggetta al controllo del contribuente – localizzata in un Paese a fiscalità privilegiata (con livello nominale di tassazione inferiore al 50% di quello applicabile in Italia).

Nel caso esaminato l’Agenzia ha – pare correttamente – escluso che la Lp potesse considerarsi interposta anche perché i manager sono estranei alla gestione (riservata al general partner) e i proventi degli investimenti nei fondi che non sono distribuiti ai soci, ma sono utilizzati dalla Lp per il pagamento delle spese societarie (sotto questo aspetto, si possono richiamare analoghi precedenti, come la risposta 433 del 2020).

Si osserva che, invece, deve essere approfondito sotto il diverso aspetto dell’abuso del diritto il caso in cui un soggetto residente utilizzi una società non localizzata in un paese a fiscalità privilegiata per detenere quote di fondi comuni d’investimento esteri con lo scopo di “trasformare” i proventi del fondo in dividendi. Il caso è descritto nella circolare 2 del 2021, esempio 12. Potrebbe interessare sia le persone fisiche che detengano indirettamente quote di fondi extraeuropei (i cui proventi concorrono a formare l’imponibile complessivo in misura integrale ex articolo 10-ter della legge 77 del 1983) sia, in genere, società italiane.

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