Controlli e liti

Intervento del pm, i costi di esercizio «fissano» la soglia

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di Laura Ambrosi

Ai fini del superamento della soglia di rilevanza penale per l’ omessa dichiarazione occorre considerare la sussistenza di costi sostenuti per lo svolgimento dell’attività, a nulla rilevando l’ accertamento analitico-induttivo della Gdf. Occorre, inoltre verificare che sia esistita la concreta volontà di sottrarsi ai propri obblighi fiscali. Ad affermare questi principi è la Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 20897 depositata ieri.

Il Tribunale condannava un contribuente alla pena di un anno e sei mesi di reclusione, per il reato di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi. Era stata anche disposta la confisca per equivalente di un immobile di sua proprietà. La decisione, impugnata in appello, veniva riformata solo con una riduzione della pena, ma veniva confermata sia la sussistenza del reato sia la confisca.

In particolare, la Corte territoriale, nonostante specifica doglianza sollevata dall’imputato, affermava che non fosse necessario l’espletamento di una perizia contabile per determinare la base di reddito imponibile al fine della valutazione del superamento della soglia di punibilità. I giudici ritenevano infatti sufficiente l’accertamento analitico-induttivo svolto dalla guardia di Finanza in sede di controllo, durante il quale peraltro i valori erano stati determinati in contraddittorio con la parte.

Il contribuente ricorreva così in cassazione lamentando, in estrema sintesi, un vizio di motivazione.

La Suprema Corte, sul punto, ha rilevato che in grado di appello, il giudice avrebbe dovuto verificare la fondatezza delle doglianze sollevate dall’imputato in ordine alla determinazione della base imponibile.

Nella specie, infatti, era stato prodotto un prospetto analitico che elencava i costi sostenuti per lo svolgimento della sua attività professionale, ma ciò nonostante nella decisione era semplicemente affermato che non erano necessarie altre indagini.

I giudici di legittimità hanno così precisato che per determinare l’ammontare dell’imposta evasa, fondamentale per verificare il superamento della soglia, occorre contrapporre ai ricavi i costi di esercizio detraibili.

Peraltro va segnalato che nella pronuncia emerge un ulteriore elemento interessante per la “qualificazione” del reato di omessa presentazione. L’imputato, nella propria difesa, rilevava che mancasse completamente l’elemento soggettivo poiché le fatture emesse, essendo soggette a ritenuta di acconto, erano contenute nel modello 770 presentato dai propri clienti. L’omessa presentazione era stata infatti conseguenza della negligenza del proprio commercialista, ma non certo ascrivibile alla volontà di evasione.

La Cassazione ha così rilevato che la Corte territoriale si era limitata ad affermare l’irrilevanza dell’affidamento dell’incarico conferito al professionista, omettendo però di considerare la sussistenza di elementi a dimostrazione del fatto che il soggetto obbligato avesse consapevolmente preordinato di omettere la presentazione della dichiarazione evadendo importi superiori alla soglia di rilevanza penale.

La decisione appare particolarmente interessante poiché non di rado il superamento della soglia, soprattutto nelle ipotesi di omessa presentazione, è riscontrato solo secondo i “rigidi” schemi tributari, secondo i quali in assenza di certezza (scritture contabili, corrette registrazioni sui registri, ecc) i costi non sono deducibili.

Alla luce di questi principi, il profilo oggettivo del reato va riscontrato considerando la veridicità dei costi indicati dal contribuente, a prescindere quindi dalla loro registrazione contabile; sotto il profilo soggettivo, invece, occorre che sia dimostrata la reale volontà di evasione.

La sentenza n.20897/17 della Cassazione

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