Controlli e liti

Irap, i compensi elevati del professionista non bastano per l’autonoma organizzazione

L’ordinanza 7652/2020 della Cassazione: valore assoluto di compensi e costi non decisivi per la tassazione

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di Roberto Bianchi

Il valore assoluto dei compensi e dei costi e il loro reciproco rapporto percentuale non costituiscono elementi utili per desumere il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione di un professionista. I compensi elevati, infatti, possono essere sintomo del mero valore ponderale specifico dell’attività esercitata e le spese consistenti possono derivare da costi strettamente afferenti all’aspetto personale (studio professionale, veicolo strumentale), rappresentando così un mero elemento passivo dell’attività professionale, non funzionale allo sviluppo della produttività e non correlato all’implementazione dell’aspetto organizzativo. A tale conclusione è giunta l’ordinanza 7652/2020 della Cassazione.

La definizione normativa del presupposto dell’Irap per i lavoratori autonomi (articolo 2 del Dlgs 446/1997) non è idonea a rappresentare con esattezza il suo ambito di applicazione e, pertanto, la giurisprudenza è stata chiamata a integrare tale disciplina significando ciò che si deve intendere per «autonoma organizzazione», nozione che è stata arricchita da elementi qualitativi e quantitativi che integrano vicende di fatto, il cui apprezzamento è di mera competenza delle commissioni tributarie (Corte costituzionale, sentenza 156/2001).

Per il professionista diviene pertanto essenziale comprovare l’inesistenza di un’autonoma organizzazione, che prevalentemente trova il suo fondamento nei numeri riportati nella dichiarazione dei redditi, attraverso la dimostrazione dell’insussistenza di beni strumentali eccedenti le necessità strettamente personali e di lavoratori non occasionali eccedenti la soglia rappresentata dall’utilizzo di un solo collaboratore deputato allo svolgimento di funzioni meramente esecutive (Cassazione, ordinanza 9786/2018).

I giudici di legittimità hanno inoltre ribadito che l’elevato ammontare di compensi e di spese non costituisce un elemento utile da cui desumere il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione di un professionista (Cassazione, ordinanza 12929/2019) in quanto possono rappresentare un sintomo del mero valore ponderale specifico dell’attività autonomamente esercitata e organizzata in modo strettamente personale e, di conseguenza, la loro quantificazione non assume alcuna rilevanza in merito all’organizzazione.

Relativamente alle spese, per ciò che concerne quelle afferenti i beni strumentali la Suprema corte ha affermato l’irrilevanza del loro importo in quanto possono raffigurare «un mero elemento passivo dell’attività professionale, non funzionale allo sviluppo della produttività e non correlato all’implementazione dell’aspetto organizzativo» (Cassazione, ordinanza 4420/2019).

Tuttavia, la relativa quantità può acquisire importanza relativamente a determinati beni strumentali (ad esempio pc portatili) dalla cui numerosità l’Amministrazione finanziaria potrebbe desumere la presenza di un numero elevato di collaboratori, superiori al presupposto minimo dell’organizzazione personale.

Anche le «altre spese documentate» frequentemente raggiungono un ammontare considerevole in quanto nella stessa confluiscono tutte i costi afferenti l’attività professionale che non trovano collocazione negli altri righi del modello Redditi e sulle quali l’Ufficio tenta di argomentare la sussistenza di un’organizzazione autonoma.

Un discorso analogo vale per il rigo «compensi a terzi» in quanto in esso confluiscono le spese per i professionisti utilizzati nello svolgimento dell’attività professionale.
Tutto ciò, evidentemente, non è in grado di dimostrare la sussistenza di un’organizzazione eccedente il lavoro personale e pertanto, in caso di contestazione, sarà necessario produrre tutta la documentazione giustificativa della spesa sostenute al fine di dimostrare la loro irrilevanza rispetto alla sussistenza di un’organizzazione autonoma.

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