Imposte

Iri, sull’applicazione del regime pesano le incognite

di Giorgio Gavelli

La facoltà offerta dalla legge di Bilancio 2017 (dopo molti tentativi andati a vuoto nel recente passato) a imprese individuali e società di persone in contabilità ordinaria di optare per il nuovo regime disciplinato dall’articolo 55-bis Tuir (noto come Iri) sta destando molto interesse tra gli operatori. Ma ancora troppi sono i dubbi riguardanti la sua applicazione pratica. Alcuni di essi riguardano le perdite e l’accertamento.

Le perdite
Riguardo alle prime, occorre distinguere le poste in relazione alla loro origine. Le perdite realizzate prima dell’ingresso nel regime non creano grossi problemi, essendo già “transitate” per trasparenza in capo al titolare o ai soci. L’unico dubbio riguarda la loro compensabilità con i redditi derivanti dai prelievi operati in regime Iri, perplessità a cui si ritiene sia possibile dare risposta positiva, così come al quesito riguardante la compensabilità tra questi ultimi redditi e le perdite derivante da altre imprese “non Iri” gestite o partecipate dal medesimo soggetto.
Vi sono, poi, le perdite prodotte in regimi Iri, sia per una gestione non positiva che per un eccesso di prelievi (deducibili) rispetto al reddito di periodo. Ai sensi del comma 2 dell’articolo 55-bis, queste perdite, senza alcun limite temporale, «sono computate in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi per l’intero importo che trova capienza in essi». Per cui, stando anche a quanto si comprende dalla relazione allegata alla legge di Bilancio, dette perdite non si trasmettono più per trasparenza (del resto, l’articolo 5 è “sospeso” in pendenza di regime) ma restano nel “binario Iri”.
Inoltre, secondo quanto stabilito dal comma 1, tali perdite concorrono a ridurre il plafond di deducibilità delle somme prelevate. Ed è proprio qui, come più volte osservato in dottrina, che si annidano le maggiori difficoltà interpretative, non essendo per nulla chiaro il meccanismo di formazione, utilizzo e “rigenerazione” di tale plafond. A norma del comma 2, inoltre, le perdite non ancora utilizzate al momento di fuoriuscita dal regime sono computabili in diminuzione dai redditi ai sensi dell’articolo 8, comma 3, Tuir, considerando l’ultimo anno di permanenza nel regime come anno di maturazione delle stesse. In questo caso, quindi, ritorna la “trasparenza” ex articolo 5 Tuir, tanto è vero che nel caso di SnC o SaS, tali perdite sono imputate a ciascun socio proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili.

Accertamenti
Le nuove regole dettate dal legislatore non affrontano in alcun modo l’ipotesi dell’accertamento dell’impresa in regime Iri, ad esempio per maggiori ricavi asseritamente non dichiarati. Di primo acchito, si potrebbe essere tentati ad immaginare un accertamento sulla sola impresa, cui viene imputato un maggior reddito da assoggettare all’aliquota del 24% (oltre ovviamente agli effetti Irap e Iva che in queste righe trascuriamo).
Ma le cose stanno veramente così? L’esperienza della società di capitali a ristretta base societaria insegna che è molto facile per il Fisco “presumere” che il maggior reddito sia stato prelevato, spostando l’onere di dimostrare il contrario sul contribuente (per tutte, da ultimo, Cassazione n. 10793/2016). Tuttavia, in questo caso, l’Agenzia accerta un maggior reddito Ires sulla società e un dividendo non dichiarato sul socio, procedura che è incompatibile con il regimi Iri. Se si accertassero sia l’Iri che l’Irpef sullo stesso importo (“dimenticandosi” che i prelievi in questo regime sono in linea di principio deducibili) si giungerebbe ad una sicura doppia imposizione.
Se, viceversa, si considerassero i prelievi come costi, l’Iri finirebbe per essere neutra e si accerterebbero solo i soci ai fini Irpef. Non ci sembra questione che possa essere lasciata alla libera interpretazione dell’Agenzia, per cui sarebbe opportuno un intervento legislativo, il quale potrebbe anche risolvere “alla radice” il problema del litisconsorzio nell’eventuale giudizio tributario incardinato a seguito dell’accertamento. Nelle società di persone “ordinarie” tale istituto è un dogma (Cassazione Sezioni unite n. 14815/2008), nelle Srl “a ristretta base” no (Cassazione n. 20141/2016). E nelle società in regime Iri?

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