Iva applicata in eccesso: serve soluzione nella delega
I correttivi richiesti dal Cndcec varrebbero anche per la soccida
La riqualificazione della soccida “monetizzata” intercetta un tema assai delicato che riguarda una molteplicità di situazioni: l’interpretazione dell’articolo 6, comma 6, Dlgs 471/1997 e i suoi rapporti con la procedura di restituzione dell’Iva non dovuta di cui all’articolo 30-ter del Dpr 633/1972. Secondo la prima norma, in caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione, quest’ultimo è punito (non con la sanzione del 90% dell’imposta detratta ma) con la sanzione compresa fra 250 euro e 10mila euro. La restituzione dell’imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale.
È noto come la Cassazione abbia depotenziato (per non dire svuotato) la norma, affermando dapprima che essa si applica solo alle ipotesi in cui – a fronte di un’operazione imponibile – l’Iva sia stata erroneamente addebitata con un’aliquota superiore a quella effettiva (sentenza 24289/2020) e, in un arresto successivo (sentenza 10439/2021), limitando la detrazione all’imposta «effettivamente dovuta in ragione della natura delle caratteristiche dell’operazione», fino al punto di concludere (sentenza 8589/2022) che la sanzione fissa riguarderebbe la sola indebita detrazione della maggiore imposta per errore di aliquota.
Così facendo non solo si torna al passato, ma si dimentica anche cosa accade, in una situazione simile, al cessionario di un’operazione in regime di reverse in cui – erroneamente e in buona fede - sia applicata l’imposta (comma 9-bis1 dello stesso articolo 6, Dlgs 471/1997). E ci si ostina a chiedere un’altra volta il pagamento del tributo (negando la detrazione), senza contare che, nella maggior parte dei casi, l’unico risultato che si ottiene è originare un percorso tortuoso che porterà alla sua restituzione azionando la procedura dell’articolo 30-ter, Dpr 633/72.
Correttamente, quindi, il Cndcec nelle proposte di emendamento al disegno di legge delega per la riforma fiscale (Ac 1034), presentate il 23 maggio scorso, ha chiesto di introdurre una modifica del seguente tenore: «Rivedere la disciplina, anche sanzionatoria, applicabile in caso di errori di fatturazione o di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva erroneamente assolta dal cedente o prestatore,… prevedendo la sanzione in misura fissa» per tutte le ipotesi di detrazione dell’Iva non dovuta che sia stata versata e al di fuori dei casi di frode, potendo peraltro giungersi alla restituzione del tributo attraverso una revisione delle regole su note di variazione e rimborso. Questa, del resto, sarebbe l’impostazione più aderente alla recente giurisprudenza Ue (sentenze C-48/20 e C-935/19) e avrebbe anche il pregio di eliminare la disparità di trattamento per l’indebita detrazione: sanzione fissa in caso di fattura con aliquota superiore a quella effettiva e sanzione proporzionale se è fatturata con Iva un’operazione (a vario titolo) non soggetta. In uno scenario così ridisegnato potrebbero forse collocarsi anche contestazioni come quella della “soccida monetizzata” (si veda l’articolo a fianco), ove ricorrano situazioni di errore interpretativo e non di frode.