Imposte

Iva di gruppo, il Fisco contro le compensazioni senza l’attestazione dei requisiti

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Continua la linea dura degli uffici dell’amministrazione finanziaria sulla vicenda delle autocertificazioni per i requisiti patrimoniali delle società aderenti alla liquidazione Iva di gruppo (si veda Il Quotidiano del Fisco del 15 novembre 2017 ). Sembrava una questione di facile soluzione, data la formalità della “violazione”, ma proseguono i contenziosi avviati dai contribuenti.

La questione

L’articolo 73 del Dpr 633/1972 prevede che in ambito gruppo, per le compensazioni delle eccedenze con i debiti Iva delle società aderenti, si applichino le stesse regole dei rimborsi: c’è quindi la necessità di una garanzia contestuale alla presentazione della dichiarazione annuale. Tuttavia le imprese che hanno specifici requisiti patrimoniali (virtuose) sono esonerate ed è sufficiente un’autocertificazione del possesso di tali requisiti.

Negli anni passati (oggetto delle attuali sanzioni delle Entrate) non era chiaro se l’autocertificazione dovesse essere trasmessa all’Agenzia (e in che termini) o soltanto predisposta e consegnata a richiesta. E, infatti, poiché la norma di riferimento era relativa ai rimborsi di imposta, la sua trasmissione (circolare 54/1999) era prevista solo in caso di «invio della richiesta di rimborso» cartacea, ma nulla era previsto per l’ipotesi (come nei casi in contestazione) di compensazione nell’ambito del gruppo.

Le sanzioni irrogate

In tutte le ipotesi in cui l’autocertificazione del possesso dei requisiti patrimoniali non è stata presentata contestualmente al modello VR Iva, ma in seguito a specifica richiesta degli uffici, l’agenzia delle Entrate ha irrogato la penalità per l’omesso versamento, pari al 30 per cento. Così, per fare un esempio, se una società all’interno di un gruppo ha compensato debiti Iva per 2 milioni di euro con crediti Iva di altra società del gruppo (spettanti e regolari), l’Ufficio ha irrogato una sanzione di 600mila euro solo per l’invio in ritardo dell’autocertificazione. Alla notifica di simili provvedimenti, soprattutto se di importo elevato, è seguito il ricorso.

L’interpretazione del Fisco

L’interpretazione degli Uffici è fondata nell’equiparazione della garanzia per il rimborso con l’autocertificazione dei requisiti patrimoniali delle imprese “virtuose”. Poiché la mancata o invalida o insufficiente prestazione della garanzia è paragonata dal legislatore ad un irregolare versamento dell’imposta, è applicata la sanzione del 30%, ossia quella prevista per gli omessi versamenti.

Tuttavia, tale interpretazione trova un primo limite nella lettura testuale della norma secondo la quale l’alternativa alla garanzia rilasciata da un istituto di credito sono i requisiti patrimoniali e non l’autocertificazione.

In altre parole, è il patrimonio della società che garantisce l’Erario al pari di una garanzia rilasciata da terzi. Tanto è che se una società autocertificasse il falso dichiarando di possedere i requisiti richiesti, è inverosimile che la semplice produzione tempestiva dell’autocertificazione possa sostituire la garanzia fideiussoria. E, in caso di inadempimento, l’Erario potrà rivalersi sul patrimonio della società e non sull’autocertificazione.

In secondo luogo, la formalità di tale adempimento è dimostrata da almeno due elementi:

•l’obbligo di presentazione è stato introdotto solo con una circolare (54/1999);

•l’autocertificazione è un fac-simile già preimpostato (ora trasfuso nella dichiarazione Iva) nel quale la contribuente interessata deve limitarsi a barrare delle caselle.

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