Controlli e liti

Iva non pagata, il consulente fiscale può provare la crisi

Il giudice deve valutare le dichiarazioni che spiegano i motivi che hanno reso impossibile il versamento dell’imposta dovuta

immagine non disponibile

di Laura Ambrosi

Per la difesa nel reato di omesso versamento, la dichiarazione del consulente fiscale può dimostrare la sussistenza della crisi che ha reso impossibile il pagamento dell’Iva dovuta. A fornire questa interessante indicazione è la Cassazione, sezione III penale, con la sentenza 35696 depositata il 14 dicembre. Il rappresentante di una società veniva condannato per aver omesso il versamento Iva dell’ente oltre le soglie di rilevanza penale. L’imputato ricorreva in Cassazione lamentando, in estrema sintesi, l’omesso esame da parte del giudice territoriale, delle prove prodotte in atti a sostegno della pesante crisi finanziaria che aveva colpito la società.

La Suprema Corte ha ritenuto fondata la doglianza. I giudici di legittimità hanno innanzitutto ricordato che la crisi economica per il reato di omesso versamento dell’Iva ha rilevanza quale causa di forza maggiore solo se siano assolti gli oneri di allegazione idonei a dimostrare non solo l’assenza di liquidità, ma anche che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile. A tal fine, l’imprenditore deve dimostrare di aver posto in essere senza successo, tutte le misure per reperire liquidità necessaria per l’adempimento dell’obbligo di versamento, nel caso anche operazioni sfavorevoli al patrimonio personale.

La Cassazione ha poi ricordato che se l’omesso versamento sia dipeso dal mancato incasso dell’Iva per inadempimento altrui occorre provare i motivi che hanno determinato l’emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo ovvero all’inadempimento contrattuale del proprio cliente.

In ogni caso, il mancato pagamento della fattura è riconducibile all’ordinario rischio di impresa, pertanto nell’impossibilità di versare il relativo tributo, occorre dimostrare le ragioni che hanno impedito lo storno dei ricavi e dei corrispettivi non riscossi o, in generale, l’impossibilità di eseguire il versamento attingendo ad altre risorse. Nella specie, secondo la pronuncia, il collegio di appello aveva trascurato di valutare le dichiarazioni del consulente fiscale secondo le quali c’erano numerosi crediti non incassati, le ragioni della cessazione dell’attività, del ricorso alla procedura di concordato per la ristrutturazione del debito e del successivo fallimento.

Inoltre, dagli atti emergeva che l’imputato avesse tentato un accordo transattivo con le banche offrendo anche garanzie personali. Tali elementi adeguatamente considerati avrebbero potuto dimostrare la reale impossibilità di superare la crisi e quindi fronteggiare all’obbligo di pagamento dell’Iva.

La decisione è interessante poiché individua nella dichiarazione del consulente fiscale un utile elemento per dimostrare la sussistenza di elementi sintomatici della sopravvenuta crisi di liquidità. Vengono poi segnalate alcune circostanze che potrebbero assumere rilievo in merito alla lamentata crisi quali, ad esempio, gli inadempimenti contrattuali, le operazioni tentate per reperire liquidità, i motivi dell’emissione della fattura antecedentemente l’incasso del corrispettivo.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©