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Iva, prova ampia per l’avvenuta esportazione dei beni

L’analisi delle sentenze della Corte di giustizia porta ad andare oltre il vincolo del rispetto delle formalità doganali

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di Francesco D'Alfonso

Un’esportazione di beni non può considerarsi avvenuta soltanto se vengono rispettate le relative formalità doganali ai fini dell’imposta sul valore aggiunto. Questo è quanto può ricavarsi da alcune recenti sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea in materia di Iva.

In relazione alle esportazioni dall’Unione europea, l’imposta deve essere applicata al consumo di beni e di servizi nel luogo di destinazione, per cui tutte le operazioni ad esse relative sono generalmente esenti dall’Iva («Esenzioni all’esportazione»). Gli Stati membri, infatti, esentano le cessioni di beni spediti o trasportati dal venditore o per suo conto fuori della Ue (articolo 146, paragrafo 1, lettera a, direttiva 2006/112/Ce).

Allo stesso tempo, secondo quanto previsto dagli articoli 146 e 153 della menzionata direttiva Iva, sono esenti da imposta, tra le altre, le prestazioni di servizi, compresi i trasporti e le operazioni accessorie, direttamente connesse alle esportazioni di beni fuori dell’Unione europea nonché le prestazioni di servizi effettuate dagli intermediari che agiscono in nome e per conto di terzi laddove intervengano in tali operazioni.

Tuttavia, mancando, nella direttiva unionale, una disposizione in materia di prove che i soggetti passivi Iva sono tenuti a fornire per beneficiare dell’esenzione dall’imposta, sono gli Stati membri a dover fissare tali prove.

Ciò, comunque, deve avvenire in modo da assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni nonché prevenire ogni possibile frode, evasione e abuso, nel rispetto altresì dei principi di certezza del diritto e di proporzionalità.

In particolare, nel sistema Iva nazionale, la corretta applicazione del trattamento di non imponibilità alle cessioni all’esportazione di beni nonché ai servizi connessi deve essere provata dalla relativa documentazione doganale (circolare 37/E/2011).

L’esportazione di un bene si perfeziona, e l’esenzione della cessione all’esportazione diviene applicabile, quando, tra le altre cose, il fornitore prova che tale bene è stato spedito o trasportato al di fuori dell’Unione europea e che lo stesso, in seguito a tale spedizione o trasporto, ha lasciato fisicamente il territorio della Ue.

Tuttavia, l’articolo 146, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/112/Ce non prevede, ai fini dell’applicazione della relativa esenzione all’esportazione, che i beni destinati a essere esportati debbano essere vincolati al regime doganale dell’esportazione, per cui la qualificazione di un’operazione come «cessione all’esportazione» non può dipendere dal vincolo degli stessi a tale regime (Corte di giustizia della Ue 28 marzo 2019, causa C-275/18).

Se è vero infatti che l’effettiva esistenza di una esportazione deve essere dimostrata in un modo reputato soddisfacente dalle autorità tributarie competenti, dal momento che tale requisito riguarda le condizioni sostanziali per l’esenzione da Iva, il mancato rispetto della condizione formale del vincolo dei beni destinati a essere esportati al regime doganale dell’esportazione non può tuttavia portare, secondo la Corte Ue, alla perdita, da parte dell’esportatore, del suo diritto all’esenzione dell’esportazione, purché l’uscita effettiva dei beni interessati dal territorio dell’Unione sia stata dimostrata. Invero, un tale vincolo, indipendentemente dal fatto che esso sia stato posto prima o dopo l’esportazione, costituisce soltanto un obbligo formale, che, peraltro, rientra non già nel sistema comune dell’Iva, ma nel regime doganale.

Il descritto principio impositivo vale tuttavia anche con riferimento alle prestazioni di servizi correlate alle esportazioni. Infatti, nel caso di una prestazione di trasporto o una prestazione effettuata da un intermediario che agisce in nome e per conto di terzi avente tali caratteristiche, l’esenzione da Iva non può essere soggetta alla condizione imprescindibile che, al fine di dimostrare la reale esistenza dell’esportazione, debba essere prodotta una dichiarazione di esportazione, escludendo in tal modo ogni altro elemento di prova (Corte di giustizia della Ue 8 novembre 2018, causa C-495/17).

La sola circostanza che un trasportatore o un intermediario che interviene in un’operazione di trasporto non sia in grado di produrre detta dichiarazione non implica, infatti, che l’esportazione non sia effettivamente avvenuta, essendo invece necessario, a tal fine, esaminare il complesso degli elementi a disposizione, prendendo in considerazione le caratteristiche oggettive delle operazioni.

In entrambi i casi, quindi, una misura nazionale che subordini il diritto all’esenzione dall’Iva al rispetto di obblighi formali, senza che siano presi in considerazione i requisiti sostanziali e, in particolare, senza porsi la questione se questi ultimi siano stati soddisfatti, eccede quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta (Corte di giustizia Ue 8 novembre 2018, causa C 495/17).

Ciò, tuttavia, a patto che la violazione del requisito formale non abbia l’effetto d’impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali o che il soggetto passivo non abbia partecipato intenzionalmente a una frode fiscale mettendo a repentaglio il funzionamento del sistema comune dell’Iva (Corte di giustizia della Ue 17 dicembre 2020, causa C-656/19).

In sostanza, dalle sentenze unionali descritte si ricava che gli Stati membri della Unione europea, ai fini dell’applicabilità dell’esenzione da Iva alle operazioni che riguardano beni in esportazione, non possono far dipendere il non assoggettamento ad imposta dal rispetto delle formalità doganali applicabili all’esportazione, dal momento che la normativa Iva unionale non specifica modalità di prova che ne escludano altre.