L’acquisto della nuda proprietà non “attiva” il redditometro
Per la Cassazione, sentenza 930 del 20 gennaio, non è sufficiente l'acquisto della sola nuda proprietà di un immobile – da intendersi come indice di incremento patrimoniale – per legittimare l'emissione di un accertamento sintetico, ex articolo 38 del Dpr 600 del 1973 (cosiddetto redditometro).
La vicenda riguarda il caso di un contribuente sottoposto al “vecchio” redditometro – disciplinato dall'articolo 38 del Dpr 600/1973, prima della riforma recata dal Dl 78 del 2010 – con il quale gli veniva contestato un maggior reddito (anno 1999), per aver sostenuto spese per incrementi patrimoniali consistenti nell’acquisto di un immobile.
Il ricorso proposto dal contribuente veniva rigettato sia in primo grado che in appello. In particolare, i giudici dell’appello ritenevano legittimo l’atto impositivo in quanto il contribuente non aveva dimostrato di aver versato il prezzo di acquisto della sola nuda proprietà dell’immobile e non anche dell’usufrutto – diritto che era stato invece riservato ad un soggetto terzo – atteso che, nell’atto pubblico, era scritto che il prezzo convenuto per l’acquisto era stato versato dalla parte acquirente a quella venditrice.
Nel successivo ricorso in Cassazione, il contribuente lamenta l’illegittimità della sentenza impugnata laddove ha posto a suo carico l’onere probatorio finalizzato a dimostrare di non aver sostenuto il costo dell’acquisto dell’usufrutto.
La Corte Suprema accoglie il ricorso, nella considerazione della pacifica circostanza – riconosciuta anche dall’Amministrazione finanziaria – per cui il contribuente aveva acquistato la sola nuda proprietà dell’appartamento, con contestuale costituzione di usufrutto a favore di un terzo.
Da tale fatto certo, conclude la Cassazione, non è possibile desumere con certezza che il contribuente abbia “acquistato” anche l’usufrutto, non essendo rilevante, al riguardo, l’espressione utilizzata in atto.
Come è noto, il redditometro si fonda sull’assunto della necessaria equivalenza fra le spese certe sostenute e il reddito, presumendo che, salvo prova contraria del contribuente, l’ammontare delle spese stesse sia finanziato dai redditi del medesimo periodo e che, pertanto, tale ammontare concorra integralmente ai fini della determinazione del reddito dell’anno (circolare 6/E del 2014).
In sede di contraddittorio, poi, il contribuente può sempre fornire la prova, in relazione alle spese per investimenti sostenute nell’anno, della formazione della provvista in anni precedenti ovvero della sua effettiva disponibilità ed utilizzo per l’effettuazione dello specifico investimento individuato (circolare 24/E del 2013; circolare n. 6/E del 2015, paragrafo 12).
In tema di spese sostenute per acquisti immobiliari, la Cassazione ha precisato che, mentre, l’accollo di un debito non costituisce una spesa “certa” su cui fondare l’atto impositivo (sentenza n. 25473 del 2015), la stessa Corte ha ritenuto, invece, sussistere tale certezza nell’ipotesi di acquisto immobiliare effettuato tramite compensazione di debiti e crediti reciproci (sentenza n. 19647 del 2009).
Cassazione, sezione tributaria, sentenza 930 del 20 gennaio 2016