L’arma migliore resta l’analisi dei movimenti sul conto corrente
Il contribuente professionista deve allegare prove non generiche, ma analitiche, circostanziate e specifiche
Gli accertamenti analitico-presuntivi (detti anche analitico-induttivi) nei confronti dei professionisti si affiancano oggi sempre di più ad altre tipologie di accertamento.
Negli ultimi anni, infatti, le attenzioni dell’amministrazione finanziaria si sono concentrate prioritariamente su due tipologie di controlli nei confronti dei professionisti:
1. gli accertamenti analitici, basati sulle scritture contabili presentate dal contribuente a seguito di richiesta dell’Ufficio oppure esibite in sede di verifica, volti a controllare quei soggetti esercenti attività di lavoro autonomo che, seppure dichiarino un ammontare elevato di compensi, deducono un importo cospicuo di costi, andando così ad abbattere in maniera significativa il reddito imponibile;
2. gli accertamenti bancari, esperiti anche sulla base di analisi di rischio effettuate sui dati dell’archivio dei rapporti finanziari, alimentato dalle informazioni trasmesse dalle banche (circolare 19/E/2019, paragrafo 2.3.2).
I conti bancari
I controlli sui movimenti finanziari sono oggi di fatto lo strumento d’indagine più potente del Fisco: questi accertamenti, infatti, sono (relativamente) più veloci di quelli analitico-presuntivi, che richiedono un meticoloso incrocio tra tutte le fatture emesse dal professionista e il numero e le prestazioni rese, come risultanti da qualche banca dati (ad esempio, catastale per le pratiche Docfa dei geometri) o da comunicazioni di enti pubblici (ufficio del Genio Civile per i progetti del geologo); ma soprattutto gli accertamenti bancari, basati sulle movimentazioni finanziarie (rilevano solo i versamenti per i professionisti: si veda Corte Costituzionale 228/2014; Cassazione 547/2020), sono assistiti da un forte valore probatorio.
Per questo il Fisco, di fatto, non è tenuto a dimostrare null’altro oltre al movimento contestato e non giustificato dal contribuente.
Mentre gli accertamenti analitico-presuntivi si basano su una presunzione semplice, che per sostenere la pretesa impositiva deve essere grave, precisa e concordante, e quindi può richiedere l’allegazione da parte dell’ufficio di ulteriori elementi probatori convergenti (si veda Cassazione 17810/2016, 3276 e 10212 del 2018, 15344/2019).
In conclusione, per dirla con le parole della Cassazione - anche se non condivise da una parte della dottrina - il contribuente ha l’onere di superare la presunzione legale relativa che assiste le indagini finanziarie, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni bancarie a fatti imponibili (Cassazione 14058/2020).
Secondo la Commissione tributaria Lazio, ai fini della dimostrazione contraria alla presunzione legale relativa che assiste le indagini finanziarie, il contribuente professionista deve allegare prove non generiche, ma analitiche, circostanziate e specifiche, le quali, però, non devono essere necessariamente costituite da documentazione bancaria, potendosi ritenere la sussistenza di tali caratteristiche anche in relazione a documentazione di altro tipo (sentenza 1300/2020).