L’assenza delle rimanenze nelle scritture contabili fa scattare l’induttivo
L’omissione in contabilità delle rimanenze diventa un impedimento alla corretta analisi dell’inventario
È legittimo il ricorso all’accertamento del reddito d’impresa con il metodo induttivo (lettera d) del comma 2 dell’articolo 39 del Dpr 600/1973) qualora l’inventario eviti di indicare e valorizzare adeguatamente le rimanenze, ad esempio mediante il raggruppamento per categorie omogenee, violando in questo modo la prescrizione del comma 2 dell’articolo 15 del Dpr 600/1973.
La normativa
Omettere di indicare le rimanenze nelle scritture contabili genera, infatti, un impedimento alla corretta analisi dei contenuti dell’inventario e, di conseguenza, alla possibilità di ricostruire analiticamente i ricavi di esercizio, determinando l’inattendibilità complessiva delle scritture contabili che costituisce il presupposto normativamente previsto per giustificare il ricorso alla modalità induttiva dell’accertamento. A tale conclusione è giunta la Corte di cassazione con l’ordinanza 13124/2020.
Il comma 2 dell’articolo 15 del Dpr 600/1973 afferma che l'inventario deve specificare, tra le altre informazioni, la composizione dei beni convogliati nelle categorie omogenee per natura e valore e, qualora dall’inventario non emergano gli elementi che compongono ogni raggruppamento e la loro ubicazione, devono essere tenute a disposizione dell’amministrazione finanziaria le distinte utilizzate per la redazione dell’inventario.
I precedenti
I contribuenti, talora, sottovalutano la rilevanza di tale disciplina nel corso della stesura dell’inventario e delle correlate distinte, operando per sommi capi nella convinzione che, nella peggiore delle ipotesi, possano essere contestate dall’ufficio esclusivamente delle violazioni di natura formale. La sentenza, tuttavia, ci ricorda che la disciplina tributaria attribuisce alla stesura dell’inventario un’importanza rilevante, considerato che su tali documenti l’ufficio potrebbe espletare controlli specifici e accertare l’attendibilità delle scritture contabili.
La Suprema corte, in precedenza, era stata sempre rigorosa sull’argomento, giungendo a stabilire che l’avviso di accertamento impostato sulla ricostruzione induttiva dei ricavi deve ritenersi legittimo qualora il contribuente si sia limitato a esporre il valore complessivo delle rimanenze, senza procedere alla loro rappresentazione distinta per categorie omogenee (Cassazione 9946/2003).
Sempre in passato i giudici di piazza Cavour, tramite la sentenza 16477/2014, avevano sancito che l’incompletezza della documentazione contabile rende inattendibili le scritture contabili e giustifica l’accertamento induttivo, come previsto dalla lettera d) del comma 2 dell’articolo 39 del Dpr 600/1973.
Il caso
Nella sentenza in esame una società edile aveva redatto l’inventario omettendo di indicare, nella nota integrativa e nel libro degli inventari, i criteri adottati per la valutazione delle rimanenze sebbene il loro corretto computo è ritenuto essenziale per le imprese che eseguono lavori su commessa di durata ultrannuale.
Di conseguenza, l’amministrazione finanziaria ha proceduto mediante la notifica di un accertamento induttivo puro. Il collegio di legittimità ha convalidato l’operato dell’agenzia delle Entrate dal momento che l’omessa indicazione e l’inadeguata valorizzazione delle rimanenze determina l’inattendibilità complessiva delle scritture contabili, contingenza che costituisce presupposto normativamente previsto ai fini del ricorso alla modalità induttiva dell’accertamento e che consente all’ufficio di avvalersi, pertanto, anche delle presunzioni sprovviste dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. In tale circostanza, grava sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria avverso l’atto impositivo, essendo chiamato a dimostrare la scorrettezza delle percentuali di ricarico utilizzate dall’agenzia delle Entrate nell’avviso di accertamento.