Controlli e liti

L’estinzione del processo non fa venir meno l’obbligazione tributaria

L’ordinanza 13125/2020 della Cassazione: il travolgimento dell'attività processuale trova un limite invalicabile anche nelle prescrizioni o decadenze

di Roberto Bianchi

L'eventuale estinzione del processo di resistenza non può comportare l'esaurimento dell'obbligazione tributaria, la quale brilla di luce propria in conseguenza dell'atto impositivo medesimo in cui trova il proprio titolo costitutivo. La pronuncia di estinzione del giudizio implica pertanto, in base all'articolo 393 del Codice di procedura civile, il venir meno dell'intero processo e, in forza dei postulati vigenti nell'ambito dell'impugnazione dell'atto tributario, la definitività dell'avviso di accertamento e il totale accoglimento delle richieste dell'ufficio. L'estinzione del processo, di conseguenza, travolge la sentenza di primo grado, ma non l'atto amministrativo che non è un atto processuale bensì l'oggetto dell'impugnazione.

L'ordinanza 13125/2020 della Cassazione ha escluso, pertanto, che l'estinzione del procedimento di opposizione all'accertamento tributario possa comportare l'esaurimento dell'obbligazione tributaria considerato che, il travolgimento dell'attività processuale trova un limite invalicabile, oltre che nel giudicato «implicito» e «interno», anche nelle prescrizioni o decadenze nel frattempo maturate.

Nell'ambito del contenzioso tributario, il processo di rinvio è disciplinato dall'articolo 63 del Dlgs 546/1992 e, di conseguenza, la parte interessata è tenuta a riassumere il giudizio entro un termine perentorio; la mancata o tardiva riassunzione del giudizio determinano, ai sensi del comma 2 dell'articolo 63 del Dlgs 546/1992, l'estinzione dell'intero processo.Tale estinzione opera di diritto e comporta la caducazione di tutte le sentenze emesse nel corso del procedimento, travolgendo anche l'eventuale pronuncia di annullamento dell'atto impositivo da parte del giudice di merito e, tale conseguenza, scaturisce dalla circostanza che il giudizio riassunto non è destinato a riformare o confermare la sentenza di primo grado, ma rappresenta un'autonoma fase che ha natura «rescissoria», funzionale all'emanazione di una sentenza che dispone direttamente sulle domande proposte dalle parti (Cassazione sentenza n. 1824/2005).

Generalmente l'interesse a riassumere il processo è in capo al contribuente mentre l'Amministrazione finanziaria, qualunque sia stato l'esito dei precedenti gradi di giudizio, può limitarsi ad attendere la scadenza del termine per la riassunzione. Tuttavia, se nessuna delle parti processuali riassume il giudizio, il processo si estingue con conseguente definitività dell'atto impositivo ab origine impugnato. Tale conseguenza è regolamentata nell'articolo 68 del Dlgs 546/1992 così come modificato dal Dlgs 156/2015, in conformità con l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità (Cassazione sentenza n. 15643/2014).

La finalità di tale previsione normativa (relazione illustrativa al Dlgs 156/2015) ha lo scopo di richiamare l'attenzione, soprattutto dei contribuenti, sulle conseguenze pregiudizievoli che derivano dalla mancata riassunzione del processo successivamente a una cassazione con rinvio, indipendentemente dall'eventuale accoglimento del ricorso da parte del giudice del merito.

L'estinzione del giudizio per mancata riassunzione, secondo i giudici di legittimità, elimina l'effetto permanente dell'interruzione della prescrizione prodotto dalla domanda giudiziale, in base al comma 2 dell'articolo 2945 del Codice civile, ma non incide sull'effetto interruttivo istantaneo di tale domanda, disciplinata dal comma 3 della medesima disposizione, con la conseguenza che la prescrizione riprende a decorrere dalla data di avvio della menzionata azione giudiziale (Cassazione sentenza n. 8720/2010), con eventuale pregiudizio per la condotta dell'agenzia delle Entrate.


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