L’Europa si smarca dalle incertezze Ocse
A spiegare che la lista nera Ue è una cosa completamente diversa e indipendente dalla rete globale Ocse/G20 sugli standard di trasparenza e sullo scambio automatico di informazioni, è la stessa organizzazione con sede a Parigi. L’Ocsce definisce «completely separate» i due percorsi e sottolinea, un po’ maliziosamente forse, che i suoi criteri di classificazione di paesi e progressi sono pubblici e misurabili, e partono dalle basi legali nazionali per il funzionamento degli standard di scambio, e poi di effettivo scambio di info fiscali.
Ma forse proprio nella complicatezza della rete mondiale Ocse/G20 - che oggi affilia 111 giurisdizioni - e soprattutto nella difficoltà di mandare a regime un progetto di importanza epocale vanno cercate le ragioni dell’accelerazione di Bruxelles, che a questo progetto di liste black “in house” sta lavorando da un anno esatto.
La buona volontà di tanti paesi - paradisi, ex paradisi o solo cripto-paradisi - nell’allinearsi agli standard della trasparenza internazionale si sta dimostrando in alcuni casi un mantra, come tale un po’ slegato dalla realtà e dai reali obiettivi di politica fiscale. Se è vero che l’ultima pagella stilata dall’Ocse - e che si può vedere nel grafico a lato - tiene in castigo solo Trinidad e Tobago (e in purgatorio solo le Isole Marshall), assolvendo il Libano e gli Emirati passando per Panama e Andorra tra gli altri, il problema dello scambio automatico è altrove.
In particolare, spiega l’ultimo rapporto Ocse (Implementation Report on Automatic Exchange of Information) tra l’essere compliant nella legislazione e attivare gli scambio con le altre giurisdizioni il passo è lungo. Alcuni (non pochi) paesi, per esempio, non stanno raccogliendo i dati che poi dovrebbero trasmettere ai 100 e più partner «in quanto non interessati a ricevere informazioni»; altre giurisdizioni stanno impiegando tempi eccessivamente lunghi per mettere in opera le basi legali per il funzionamento dello scambio automatico e per gli accordi multilaterali necessari a far “scorrere” le informazioni. Il 15 % della platea non ha neppure terminato l’allineamento con la legislazione internazionale, tra questi un buon numero dei paesi del Golfo (a cominciare da Quatar, Emirati, Kuwait, Brunei) e la Turchia che per varie ragioni non hanno ancora ratificato la Convenzione per lo scambio automatico. Altri paesi caraibici e “oceanici” sono ancora più indietro nei processi di risalita verso l’emersione, tanto che il Report - pur ottimisticamente orientato, come è giusto che sia - conclude che «un certo numero di giurisdizioni ha mancato pietre miliari» sul percorso e ora ha timeline sfidanti, per usare un eufemismo.
Così si spiega la risposta dell’Europa che però sulla strada troverà - è facile prevedere - scogli giuridico-politici già intravedibili nel dibattito che ha portato sin qui.
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