Imposte

L'evasione frena il rientro di capitali

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di Primo Ceppellini e Roberto Lugano

Il decreto legge che disciplina la collaborazione volontaria per l'emersione dei capitali all'estero prevede due obblighi:
- la presentazione di una richiesta, comprendente l'indicazione delle somme estere e la ricostruzione dei redditi con i quali si è formata la provvista delle risorse;
- il pagamento delle somme dovute in base a due successivi provvedimenti, ovvero l'irrogazione delle sanzioni relative al monitoraggio valutario e l'accertamento ai fini delle imposte evase.
Non si tratta in nessun modo di un condono o di uno scudo fiscale, tant'è vero che le imposte sui redditi accertati vanno versate integralmente. È solo previsto uno sconto sulle sanzioni: 50 o 75% del minimo per il monitoraggio, un sesto del minimo per l'adesione agli accertamenti.
I contribuenti interessati si trovano di fronte a una analisi di convenienza che prevede, da un lato, l'aumento del rischio della detenzione illegale all'estero, per la progressiva riduzione dei Paesei non collaborativi, e dall'altro l'esborso per la collaborazione, che non è "ridotto" come avveniva per gli scudi fiscali.
Il costo della sanatoria diventa quindi un elemento fondamentale. Si possono distinguere due situazioni:
a) le somme all'estero non derivano da redditi evasi (è il classico caso di attività pervenute in successione) oppure da redditi evasi in periodi non più accertabili ("vecchie" evasioni riconducibili in modo documentato a periodi di imposta non più accertabili, anche tenendo conto del raddoppio di termini per rilevanza penale o per presenza di paesi black list);
b) somme che derivano da redditi non dichiarati e ancora accertabili che dovranno essere necessariamente sanati congiuntamente alla violazione relativa al quadro RW.
Solo chi si trova nella prima situazione può pensare all'emersione; nel secondo caso i costi sono improponibili.
Nel primo caso, infatti, l'importo che si deve pagare è la somma di tre componenti:
a1) le sanzioni (ridotte) per la mancata indicazione degli importi nel quadro RW;
a2) l'Irpef e relative sanzioni (1/6 del minimo) sui redditi finanziari prodotti dalle somme all'estero;
a3) gli interessi.
Le prime simulazioni evidenziano un costo di poco superiore al 10% e l'interesse alla sanatoria sarà sicuramente elevato.
Se, invece, le somme all'estero derivano da redditi evasi, le conclusioni sono diametralmente opposte. Ipotizziamo il caso di un professionista che voglia sanare la propria situazione e che dovrà ora versare:
b1) Irpef e addizionali (45%) nonché il sesto delle sanzioni (circa 7,5%) sui redditi non dichiarati;
b2) Irap (ipotizziamo il 3,9%) e relative sanzioni (0,65%);
b3) Iva (20%) e relative sanzioni (3,3%);
b4) sanzioni sul quadro RW, Irpef e sanzioni sui redditi finanziari (che sono da stimare in base al numero degli anni, ma difficilmente inferiori al 5%);
b5) interessi (impossibili da determinare analiticamente in un esempio generico, ma che stimiamo per semplicità di calcolo pari al 2,65% del totale).
Siamo già arrivati a un importo che pesa l'88% delle somme detenute inizialmente all'estero. C'è poi un ultimo aspetto da ricordare: poiché si tratta di redditi non dichiarati, è facilmente ipotizzabile che su di essi si debba calcolare anche la ricaduta in termini di contributi previdenziali. Se il professionista non aveva già superato i massimali nell'anno di riferimento, il costo potrebbe lievitare di un ulteriore 10-15 per cento.
Conclusione: la sanatoria costa più del 100% e l'intero importo detenuto all'estero servirà per "pagare" la regolarizzazione.
I numeri consentono di arrivare in modo matematico alle stesse conclusioni anticipate sopra. La scelta legislativa che è stata fatta è chiara: la nuova norma non è uno scudo che sana l'evasione di redditi e di Iva non dichiarati.
Ciò ha ovviamente una conseguenza: nessuno dei soggetti che si trova nelle condizioni indicate può minimamente pensare alla collaborazione volontaria.
Questa considerazione deve guidare anche le ipotesi sul gettito che potrà derivare dal provvedimento. Solo se si ipotizza che la gran parte dei capitali all'estero non abbia rilevanza reddituale (nei termini che abbiamo chiarito) si può pensare che gli incassi erariali saranno significativi. È però un'ipotesi molto forte e probabilmente non molto corretta.

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