Imposte

Telefisco, l’impresa non versa la Tari solo per le aree di lavorazione

Anche le imprese non presenti nel nuovo elenco del Dlgs 152/06, come quelle industriali, possono produrre rifiuti urbani (quindi tassabili)

di Luigi Lovecchio

Le imprese industriali devono continuare a pagare la Tari sulle aree diverse da quelle di lavorazione, anche dopo l’entrata in vigore della disciplina di cui al Dlgs 116/2020. Ai fini della nuova esclusione della quota variabile di tariffa, occorre che l’operatore economico si impegni per cinque anni a conferire a un soggetto abilitato la totalità dei rifiuti urbani prodotti. In mancanza, si potrà applicare la riduzione prevista dalla normativa Tari, ma solo qualora sia dimostrato l’avvio al riciclo di tutto o parte dei rifiuti prodotti. Questi i chiarimenti - tutt’altro che scontati - proposti dal Mef ai quesiti rivolti in occasione di Telefisco 2021, in materia di prelievo sui rifiuti.

Prelievo anche per l’industria

Con l’emanazione del Dlgs 116/2020, a decorrere dal 1° gennaio 2021, è soppresso il potere comunale di assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani. Di conseguenza, i rifiuti si distinguono in rifiuti urbani e rifiuti speciali sulla base dei criteri dettati esclusivamente dalla legge. In particolare, i rifiuti urbani sono tali se rientrano, sotto il profilo qualitativo, nella nuova elencazione contenuta nell’allegato L–quater al Dlgs 152/2006, e sono prodotti dalle attività indicate nell’allegato L–quinquies. Tale distinzione ha riflessi diretti in materia di applicazione della Tari, poiché le aree dove si formano rifiuti speciali sono escluse da tassazione.

Al riguardo, è stato notato che nell’elenco delle attività nell’allegato L–quinquies non ci sono quelle industriali. Da qui il dubbio che queste siano sempre e comunque escluse da prelievo per la totalità delle superfici occupate. Il Mef ha risposto in senso negativo. In particolare, è stato osservato che, in base all’articolo 184 del Dlgs 152/2006, i rifiuti delle lavorazioni industriali sono speciali se e in quanto diversi da quelli urbani. Se ne può pertanto desumere che le imprese in questione sono, in astratto, suscettibili di produrre sia rifiuti urbani che speciali. Sulla base di tale premessa interpretativa, il dipartimento delle Finanze conclude che restano esenti da Tari solo le aree di lavorazione e la quota parte dei depositi strettamente funzionali all’attività di trasformazione. Per tutto il resto (magazzini, uffici, mensa, eccetera) il tributo va applicato secondo le regole ordinarie.

Incrocio di agevolazioni

L’altro chiarimento ha riguardato una previsione a dir poco oscura, già nella sua collocazione. Si tratta della modifica apportata all’articolo 238, comma 10, del Dlgs 152/2006, che però è riferito alla Tia2, abrogata già dal 2013. La nuova norma stabilisce che gli operatori economici che si impegnano, per cinque anni, a conferire i rifiuti a un soggetto abilitato, ai fini del loro recupero, sono esenti dalla quota variabile di tariffa. La norma pone un problema di coordinamento con la disciplina della Tari, che all’articolo 1, comma 649, della legge 147/2013 prevede un’analoga riduzione.

Il Mef ha risolto il problema, rilevando che mentre la disposizione del 2020 presuppone il recupero della totalità dei rifiuti prodotti, la norma Tari si rivolge al riciclo dei rifiuti e prevede una riduzione di quota variabile proporzionale alle quantità riciclate. In proposito, va innanzitutto segnalato che il riciclo dei rifiuti rappresenta un “di cui” del recupero. Questo significa che è possibile recuperare rifiuti senza riciclarli (ad esempio, cedendoli a terzi che li utilizzano tal quali).

La soluzione interpretativa

Nell’ottica del Mef dunque, a stretto rigore, gli operatori che recuperano anche il 90% dei rifiuti, senza riciclarli, non avrebbero diritto ad alcun abbattimento di tariffa. Non si applicherebbe la riduzione del Dlgs 116/2020, perché non c’è stato recupero della totalità dei rifiuti; ma non si applicherebbe nemmeno la riduzione della Tari, perché non c’è riciclo. Ciò nonostante sia il recupero che il riciclo non siano coperti dalla privativa comunale che riguarda esclusivamente lo smaltimento (articolo 198, Dlgs 152/2006). Senza trascurare che non è chiaro, allo stato, come possa essere in concreto dimostrato l’avvio al riciclo, visto che i formulari in uso normalmente accomunano recupero e riciclo.

Si è quindi dell’avviso che occorre forzare la lettura della norma, assumendo che essa abbia la funzione di estendere al recupero la medesima disciplina Tari del riciclo. Così opinando, si darebbe ingresso alla riduzione della quota variabile in proporzione alle quantità recuperate, senza obbligare l’impresa a recuperare tutto. Resterebbe comunque l’impegno a scegliere il gestore per un periodo di almeno cinque anni.

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