L’interdittiva antimafia non ferma il fondo perduto
L’informativa emessa nei confronti del legale rappresentante non preclude l’accesso ai contributi
L’informazione interdittiva antimafia emessa nei confronti del legale rappresentante della Srl, non preclude l’accesso ai contributi a fondo perduto, previsti dal Dl 41/2021, il cosiddetto Dl Sostegni. La preclusione riguarda, infatti, secondo l’articolo 67 del Codice antimafia, i destinatari di un provvedimento definitivo relativo a specifiche misure di prevenzione personali applicate dal giudice, indicate dal Codice (Dlgs 159/2011). Tra le quali non rientrano né l’informativa interdittiva antimafia, né la comunicazione antimafia.
L’interdittiva antimafia è, infatti, un provvedimento amministrativo che ha una natura cautelare e preventiva, in un’ottica di bilanciamento tra tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e libertà di iniziativa economica, riconosciuta dall’articolo 41 della Carta.
Il chiarimento, porta la Corte di cassazione (sentenza 14731) ad accogliere il ricorso dell’imprenditore contro l’ordinanza che aveva disposto il sequestro di oltre 17 mila euro. Contributi ottenuti grazie al decreto Sostegni ma, ad avviso Tribunale, commettendo il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (articolo 316-ter del Codice penale). L’accusa a carico del ricorrente era di aver omesso - nell’istanza fatta in via telematica all’Agenzia delle Entrate - il particolare di essere il destinatario di un’informazione interdittiva antimafia emessa dal prefetto.
Per i giudici un reato che giustificava il sequestro cautelare, finalizzato alla confisca della somme già incassate. La Cassazione annulla il provvedimento, ordina la restituzione del denaro all’avente diritto e spiega le ragioni della decisione. E lo fa partendo dal quadro normativo disegnato dal Dl 41. Una norma che detta tempi e modi per la presentazione dell’istanza e rimanda, per le modalità di erogazione del contributo, per le sanzioni e le attività di controllo, alle disposizioni del Dl 34/2000 adottato per fronteggiare l’emergenza sanitaria Covid. Quanto alle condizioni che renderebbero impossibile usufruire del beneficio, il Dl 34 rinvia a sua volta al Codice antimafia che, con l’articolo 67, fa un espresso riferimento «alle persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, Capo II».
Il Tribunale, spiega la Cassazione, ha messo dunque in atto una «non consentita applicazione analogica in malam partem della norma» . Arrivando ad affermare il fumus del reato, previsto dall’articolo 316- ter del Codice penale, estendendo la preclusione soggettiva fissata dal Codice antimafia. Il ricorrente invece «in quanto destinatario “solo” di una informazione interdittiva antimafia, poteva percepire il contributo previsto dal Dl 41/2021». E l’omessa indicazione nell’autocertificazione , non consentiva di ipotizzare il reato che ha portato al sequestro preventivo.
La Suprema corte con l’occasione sottolinea la funzione dell’interdittiva antimafia, come punto di equilibrio tra la salvaguardia dell’ordine pubblico economico con la libera concorrenza tra imprese e il buon andamento della Pubblica amministrazione.
Un provvedimento che ha lo scopo di prevenire tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese tesi a condizionare le scelte della Pa.
La misura cautelare, concludono i giudici, determina una particolare forma di incapacità giuridica prevista dalla legge a garanzia dei valori tutelati dalla Carta.
Un’incapacità parziale nei rapporti giuridici con la Pa, limitatamente a quelli di natura contrattuale. Incapacità comunque temporanea, perché può venire meno grazie ad un successivo intervento del prefetto. Per finire la Cassazione supporta la sua lettura con la giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui l’informazione interdittiva antimafia non può essere considerata una delle misure che rientrano tra le ostative del Codice Antimafia.