L’iscrizione della Onlus al Registro come impresa sociale non è causa di scioglimento
I decreti di riforma del Terzo settore introducono la nuova figura degli enti del terzo settore (Ets), che saranno chiamati ad iscriversi in un Registro unico nazionale strutturato per sezioni. Gli Ets e il relativo registro sostituiranno progressivamente la figura delle Onlus e gli adempimenti presso l’anagrafe gestita dall’agenzia delle Entrate, con una disciplina uniforme sul piano civilistico e tributario.
In questo scenario un aspetto importante riguarda l’attuale profilo fiscale collegato alla perdita della qualifica di Onlus e gli effetti che, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo codice, conseguiranno non solo alla trasformazione delle Onlus in enti del terzo settore ma anche, specularmente, alla eventuale perdita di qualifica di Ets con cancellazione dal registro unico nazionale.
Sotto questo profilo, la normativa sulle Onlus prevede attualmente l’obbligo di inserire nello statuto o nell’atto costitutivo una clausola finalizzata alla devoluzione del patrimonio ad altre Onlus o a fini di pubblica utilità in caso di scioglimento per qualsiasi causa (articolo 10, comma 1, lettera f del Dlgs 460/1997). A livello interpretativo, l’agenzia delle Entrate ha affermato che la perdita della qualifica Onlus a seguito di accertamento equivale allo scioglimento dell’ente con conseguente obbligo di devoluzione (circolare 168/E/1998).
Ciò corrisponde all’esigenza di assicurare l’impiego per finalità socialmente utili di patrimoni costituiti con un regime fiscale di vantaggio, ma non mancano problemi di ordine giuridico ed operativo che, solo in parte, sono stati affrontati nella prassi successiva; si pensi ad esempio circolare 59/E/2007, secondo cui la ex Onlus può continuare ad operare in base ad altra qualifica, devolvendo il solo incremento patrimoniale conseguito nei periodi di imposta successivi all’iscrizione nell’anagrafe Onlus.
Si tratta d’altronde di difficoltà sintomatiche di un criticità di fondo, in quanto l’obbligo devolutivo viene ricollegato a una norma tributaria che, da sola, non può tenere conto di tutte le sfumature civilistiche ed organizzative riscontrabili negli enti che assumono, fiscalmente, la qualifica di Onlus. È per questa ragione che si finisce per imporre un obbligo devolutivo del tutto identico a soggetti che assumono connotati prettamente lucrativi ed a quelli che, invece, potrebbero qualificarsi come enti non commerciali e/o dimostrare l’effettivo perseguimento di finalità di interesse generale.
La riforma del Terzo settore interviene proprio su questo aspetto, grazie a un regime più coerente tra i vari aspetti civilistici e fiscali. L’articolo 50 del nuovo Codice del terzo settore (Cts) – nel prevedere che l’Ets può essere cancellato dal Registro per carenza dei requisiti fondamentali – permette all’ente sia di operare al di fuori del Registro (previa devoluzione del patrimonio, limitatamente all’incremento patrimoniale realizzato negli esercizi in cui sussisteva l’iscrizione), sia di migrare in un’altra sezione dello stesso ove ne ricorrano i presupposti (si pensi a un Ets che, in concreto, abbia svolto attività di interesse generale con modalità commerciali e che, pertanto, chieda di potersi qualificarsi come impresa sociale).
A questo riguardo il Cts, regolando la fase di passaggio al nuovo regime, stabilisce espressamente che l’iscrizione delle Onlus al Registro unico nazionale, anche in qualità di imprese sociali, non costituisce ipotesi di scioglimento dell’ente (articolo 101, comma 8). In questo modo viene valorizzato l’effettivo perseguimento delle finalità di interesse generale, anche con schemi organizzativi d’impresa, permettendo alle Onlus di valutare con maggiore libertà come collocarsi all’interno del nuovo Registro alla luce delle proprie reali caratteristiche.