Imposte

L’Ocse studia una misura per la remunerazione delle attività di marketing

Il paper in consultazione («Pillar one – Amount B») potrebbe applicarsi anche alle realtà più piccole

di Massimo Bellini

Con il documento «Pillar one – Amount B» posto in pubblica consultazione a dicembre 2022, l’Ocse vuole proporre un metodo semplice e standard, che sia valido per tutti i contribuenti, per determinare una remunerazione arm’s length (cioè a condizioni di concorrenza) delle attività di base di marketing e distribuzione.

Il paper fa parte del lavoro che l’Ocse sta portando avanti, non senza difficoltà, sul cosiddetto Pillar one, che dovrebbe sostituire le digital tax introdotte in maniera unilaterale da vari Paesi, tra cui anche l’Italia. Il documento ne segue molti altri e centinaia di pagine già emanati per pubblica consultazione dall’Ocse con cadenza incalzante nell’ultimo anno. Non sono mancati però i dubbi e le perplessità.

Tanto per fare qualche esempio, i documenti sono tutti in bozze che devono essere completate anche in parti di rilievo e/o con rimandi a documenti di futura emanazione, per cui molti commentatori hanno evidenziato le difficoltà nel fornire adeguate osservazioni.

Sono state inoltre evidenziate le enormi difficoltà operative nell’ottenimento di dati di cui i gruppi attualmente non dispongono (si pensi alla tracciatura dei ricavi da attribuire alla market jurisdiction) e le anomalie che si potrebbero verificare nella ripartizione tra giurisdizioni del cosiddetto Amount A, cioè l’extra-profitto, i cui calcoli non riescono a cogliere le diversità dei vari business model che i gruppi hanno. Anche gli strumenti e le interlocuzioni con le Amministrazioni proposti per ottenere la certezza dei calcoli sono basati su complesse procedure che, alla luce dell’esperienza attuale, sembrano difficilmente realizzabili.

In questo contesto il documento sull’Amount B vuole superare le incertezze legate alle analisi di benchmark per talune attività di marketing e distribuzione all’ingrosso, oltre che di agenzia e commissionario (l’inclusione di queste ultime due è ancora in discussione). Si tratta di disposizioni che, a differenza dell’Amount A, che riguarda solo i gruppi con almeno 20 miliardi di euro di ricavi, sono applicabili a tutti i contribuenti e una volta completate saranno inserite nelle Linee guida Ocse, senza necessità di cambiare i trattati contro le doppie imposizioni. Si sta discutendo se formalizzarle come safe harbours oppure come indicazione di valori arm’s length.

Anche in questo caso il documento deve essere completato, ad esempio tutte le analisi economiche sono in corso di predisposizione. Un dubbio che potrebbe già però emergere riguarda il campo di applicazione. Sono previsti infatti una serie di stringenti requisiti, sia qualitativi che quantitativi. Ad esempio l’entità deve operare principalmente nel mercato di residenza, non possono essere svolte altre attività (a prescindere dall’esistenza di conti economici segmentati), non si devono assumere rischi significativi, non si deve contribuire alla creazione di intangible property (Ip) di valore, devono essere rispettate delle soglie di spese operative sul fatturato, limiti di ricavi da attività ancillari, fatturato per singolo cliente, eccetera.

Si noti che (tra gli altri) si propone di escludere anche servizi e prodotti digitali, che sono l’espressione della digitalizzazione dell’economia, che proprio il Pillar One dovrebbe regolare da un punto di vista fiscale. La lista non è esaustiva, e va sempre verificata l’accurata declinazione della transazione in base ai fatti specifici. Si sta inoltre valutando se l’applicabilità di un altro metodo (ad esempio Cup) o l’esistenza di comparables locali possano rappresentare dei casi di esclusione dall’amount B.

Il rischio è che il rispetto di tutte queste condizioni renda di fatto applicabile solo a un numero di contribuenti molto limitato le semplificazioni, vanificando l’utilità del lavoro. Evidentemente le semplificazioni hanno un inevitabile trade-off con la precisione delle analisi, ma considerato che questa è la strada che l’Ocse ha deciso di seguire sarebbe opportuno provare a garantire una più ampia e flessibile applicazione (anche se appunto a discapito dell’accuratezza).

Ciò garantirebbe inoltre maggiore certezza. Tutte queste condizioni potrebbero infatti spostare il focus delle contestazioni dal numero (che si ottiene col benchmark) all’applicabilità dei requisiti per poter applicare l’Amount B. Anche perché svariati requisiti comportano comunque anche valutazioni soggettive. Con l’aggravante, che se così fosse, in caso di contestazione sull’applicabilità nel Paese del distributore, vi sarebbe probabilmente una sorta di presunzione per cui la remunerazione arm’s length debba essere superiore all’Amount B.

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