L’operazione è imponibile Iva solo se è riferibile a uno specifico servizio
Se il corrispettivo non è strettamente riferibile ad uno specifico servizio espressamente richiesto, l’operazione non può qualificarsi imponibile Iva.
A confermare questo orientamento è la Corte di Cassazione con la sentenza 15683 depositata ieri.
Nel corso di una verifica veniva contestata la detrazione Iva di alcune fatture aventi ad oggetto «premi impegnativa» emesse dal concessionario di spazi pubblicitari.
Più precisamente, le somme erano state fatturate ad Iva con aliquota ordinaria, mentre secondo i verificatori, trattandosi di cessioni di denaro a titolo gratuito, non erano assoggettabili ad imposta.
La società impugnava l'avviso di accertamento conseguente alla predetta verifica ed entrambi i giudici di merito lo annullavano integralmente.
L'Agenzia ricorreva così in Cassazione lamentando che gli accordi intercorsi non contemplavano alcun obbligo di procacciare affari, poiché si limitavano ad indicare l'ammontare di un compenso da corrispondere soltanto al maturare di un determinato investimento pubblicitario.
La Suprema Corte ha innanzitutto rilevato che una prestazione di servizi è effettuata a titolo oneroso e ciò avviene quanto tra l'autore ed il suo destinatario intercorra un rapporto giuridico nell'ambito del quale avviene uno scambio: da un lato il servizio e dall'altro il compenso. Ai fini dell'imponibilità occorre poi verificare la fase esecutiva del rapporto giuridico poiché è necessaria non soltanto la prova che da tale operazione siano generate «attribuzioni reciproche», ma anche che il compenso sia convenuto proprio quale corrispettivo del servizio espressamente richiesto.
Nella specie, il giudice di merito non aveva adeguatamente riscontrato i fatti, al fine di verificare la sussistenza di tali requisiti, in assenza dei quali l'operazione non era da assoggettare ad Iva.
La sentenza 15683/17 della Cassazione