La Cassazione bacchetta i giudici fiscali: «Dovete fare il calcolo dei tributi»
Troppi i rinvii alle Entrate per rideterminare l’ammontare di tributi e sanzioni dopo l’annullamento degli accertamenti
Sentenze parziali e non definitive. Una nuova grana per il giudice tributario onorario, già sotto tiro per la qualità dei giudicati, ritenuti dai professionisti del fisco «insoddisfacenti». Nell’ormai noto 46% di provvedimenti delle Ctr annullati in Cassazione, rientrano anche tutte quelle sentenze che non esaminano nel merito la pretesa tributaria e che non determinano l’ammontare dei tributi e delle sanzioni, limitandosi di fatto ad annullare l’accertamento.
Rideterminazione affidata all’Ufficio
La questione è stata affrontata da diverse sentenze della Corte di cassazione, ma ora trova ulteriore fondamento nella recente decisione 3080 del 2021. Un privato s’è visto recapitare due avvisi di accertamento per maggior reddito imponibile ai fini Irpef. In realtà, come poi ha dimostrato, l’Amministrazione gli aveva erroneamente attributo il 100% dei beni che, però, aveva in regime di comunione legale con la moglie. Nella sua valutazione, la Ctr ha annullato integralmente gli atti impositivi, demandando alla stessa agenzia delle Entrate «il compito di provvedere al ricalcolo del reddito». Si tratta di un trend diffuso, tanto che la stessa Cassazione, in casi del genere, ha dovuto più volte specificare che sono i giudici del merito a dover rideterminare il valore e non l’Amministrazione, che è parte nel procedimento.
La regola disattesa
La Corte ricorda che esiste un «consolidato orientamento», in quanto «il processo tributario non ha natura esclusivamente impugnatoria e di legalità formale», ma di «impugnazione-merito», perché «diretto a una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’Ufficio» (Cassazione, sezione 6 e 5: 19/09/2014, n. 19750; 28/06/2016, n. 13294; 15/10/2018, n. 25629; 30/10/2018, n. 27560; 10/09/2020, n. 18777; 6/04/2020, n. 7695). Di conseguenza, spetta al giudice del merito «il potere (dovere) di stabilire i limiti quantitativi di fondatezza della pretesa impositiva in modo da adottare una pronuncia sostitutiva sulla sussistenza ed entità dei presupposti della pretesa fiscale». Il giudice, «qualora ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti poste dalle domande di parte, restando peraltro, esclusa la pronuncia di una sentenza parziale solo sull’an o di una condanna generica» (Cassazione, sezione 6 e 5: 15/10/2018, n. 25629; 24/01/2018, n. 1728, in motivazione). In conclusione, «quando il giudice ravvisa l’infodatezza parziale della pretesa dell’Amministrazione non deve, né può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dal petitum delle parti».
Rischio procedimento disciplinare
Allo stato non è possibile stabilire i casi di questa irregolarità dei giudici onorari del merito. Ma l’omessa determinazione delle imposte e delle sanzioni violerebbe l’articolo 35 comma 3 del Dlgs 546 1992, secondo cui «(…) Non sono ammesse sentenze non definitive (…)». Un vizio che non porta solo alla cassazione della decisione con rinvio, ma che presenta anche aspetti disciplinari, in quanto si tratta di una violazione del dovere istituzionale del giudice (Cassazione 13297/2016).