Imposte

La Cassazione boccia l’Iva anche su Tia2 e Tari puntuale

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di Gianni Trovati

Riparte in grande stile la questione della legittimità dell’Iva sulla tariffa rifiuti. Il problema ora investe la Tia 2, introdotta nel 2006, e la «Tarip», cioè la versione «puntuale» della Tari che dovrebbe misurare la bolletta in base alla quantità di rifiuti prodotti: una tariffa, quest’ultima, già applicata in centinaia di Comuni soprattutto al Nord (Trentino Alto Adige, Veneto, Lombardia ma anche Emilia Romagna), e destinata a diventare l’unica forma di tariffazione del servizio di igiene urbana secondo le norme della manovra 2014.

Il problema è lo stesso che ha travolto la prima tariffa di igiene ambientale nel 2009, quando l’Iva fu giudicata illegittima dalla sentenza 238 della Corte costituzionale sulla base del fatto che la Tia 1 era un corrispettivo nel nome ma un tributo nei fatti, perché ancorata a parametri fissi e non alla quantità effettiva del servizio utilizzato. E siccome non è possibile applicare un’imposta a una tassa, l’Iva fu stata bocciata aprendo un contenzioso sterminato su modalità e termini dei rimborsi.

Ora si replica, e sul tema si dovrà ora esercitare la Corte di cassazione a sezioni unite. A chiederlo è la stessa suprema Corte in un’ordinanza, la 23949/2019 depositata ieri, che però già suggerisce una soluzione: anche questa volta negativa per l’Iva.

La questione, come sempre, è controversa. Perché nel labirintico panorama normativo delle tariffe sui rifiuti non c’è nulla di semplice. E nella giurisprudenza di Cassazione si possono già incontrare due precedenti sul punto: di segno opposto. Il primo arriva nel 2017, con la sentenza 17113. In quella pronuncia la Suprema Corte era stata chiara nell’affermare che «sia la Tia 1 che la Tia 2 che la Tari sono tutte caratterizzate dai medesimi presupposti: a) mancanza di nesso diretto tra prestazione e corrispettivo; b) il compenso ricevuto dal prestatore dei servizi non è il controvalore effettivo del servizio prestato». Insomma: la tassa/tariffa di igiene ambientale cambia nome più spesso dei partiti in crisi d’identità, ma non cambia la natura di tributo che la tiene lontana dal sistema corrispettivo indispensabile per applicare il principio comunitario del «chi inquina paga».

La sentenza era a Sezioni Unite, ma si è occupata del tema in modo incidentale perché il centro della questione riguardava un altro tassello del complicato puzzle fiscale sui rifiuti, cioè l’addizionale provinciale.

Per cui non è stata risolutiva. Tanto è vero che la stessa Cassazione è tornata sul tema un anno dopo, nella sentenza 16332/2018, affermando il contrario: la Tia 2 (e quindi anche la Tarip) sono tariffe corrispettive, perché tali sono qualificate dalle norme istitutive.

Motivazione non troppo solida, e ribaltata dall’ordinanza di ieri: anche la nuova tariffa, si legge, «è un importo dovuto in ragione del possesso o della detenzione di locali o aree», e parametrato per legge a «una presuntiva produzione di rifiuti» sulla base delle «quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie».

In un contesto del genere, che tra l’altro «non attribuisce alcun sostanziale rilievo alla volontà delle parti nel rapporto fra gestore e utente del servizio» perché nessuno può rifiutarsi di utilizzare il gestore comunale, i giudici non intravedono il «rapporto sinallagmatico» che è nella natura di una tariffa corrispettiva. A decidere saranno insomma le sezioni Unite: ma l’ordinanza di ieri traccia la rotta, e l’Iva torna a ballare anche sulle “nuove” tariffe.

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