La Corte di giustizia Ue salva il reato di autoriciclaggio
Reimpiego beni di origine illecita imputabile all’autore del reato presupposto
L’autore del reato principale, nel caso di specie evasione fiscale, può essere imputato anche del delitto di riciclaggio. Questo il principio sancito ieri dalla Corte di giustizia dell’Unione europea che conferma quindi la legittimità della configurabilità del reato di autoriciclaggio negli ordinamenti di tutti i Paesi membri dell’Unione.
La sentenza del 2 settembre sulla causa C-790/19 ha stabilito un principio estremamente importante in tema di prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, secondo cui tale normativa europea deve essere interpretata nel senso che non osta ad una normativa nazionale che prevede che il reato di riciclaggio di capitali possa essere commesso dallo stesso autore dell’attività criminosa che ha generato i capitali di cui trattasi. La causa principale nasceva dal Tribunale superiore di Brașov in Romania che aveva condannato ad una pena detentiva, per il reato di riciclaggio di capitali, per 80 atti materiali commessi tra il 2009 e il 2013. I capitali interessati derivavano da un reato di evasione fiscale commesso da un privato. I procedimenti penali relativi a suddetto reato di evasione fiscale erano poi cessati dopo il rimborso da parte dell’interessato degli importi dovuti. Il giudice penale rumeno aveva constatato che, nel periodo compreso tra il 2009 e il 2013, l’imputato non aveva registrato nella contabilità di una società, di cui era l’amministratore, documenti fiscali attestanti l’incasso delle entrate, tale circostanza assumeva quindi la qualificazione di «evasione fiscale», ai sensi del diritto rumeno.
Gli importi di denaro derivanti dall'evasione fiscale erano stati poi trasferiti sul conto bancario di un'altra società, amministrata da altro soggetto ed in seguito prelevati da l'autore del reato principale e dell’amministratore della società utilizzata per tali operazioni illecite. Il trasferimento del denaro nel caso di specie era stato effettuato in base a un contratto di cessione del credito concluso fra l’imputato e la società di cui egli era l’amministratore e la società di cui era l’amministratrice l’altro concorrente del reato. In forza di questo contratto di cessione, gli importi dovuti all’imputato dalla società di cui era l’amministratore erano stati poi versati da clienti di suddetta società sul conto bancario della società di cui concorrente al reato era l’amministratore.
Il giudice del rinvio aveva pertanto richiesto alla Corte di giustizia Ue l’interpretazione della quarta direttiva antiriciclaggio (2015/849), sebbene quest’ultima non fosse stata ancora trasposta nel diritto rumeno entro il termine prescritto, poiché tale direttiva definiva il reato di riciclaggio di capitali allo stesso modo della precedente direttiva 2005/60. Pertanto la pronunzia si evidenzia come estremamente attuale. Il giudice del rinvio riteneva che l’articolo 1, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2015/849 doveva essere interpretato nel senso che l’autore del reato di riciclaggio di capitali, che è per sua natura un reato di conseguenza derivante da un reato principale, non poteva essere quello di suddetto reato principale. Secondo il giudice del rinvio tale possibile interpretazione derivava dall’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 2015/849 nonché da un’analisi sui piani grammaticale, semantico e teleologico dell’espressione «effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un’attività criminosa» che avrebbe senso solo se l’autore del reato principale fosse diverso da quello del reato di riciclaggio di capitali. Inoltre, l’ultima parte della frase di cui all’articolo 1, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2015/849 («o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni») presenterebbe un legame non con l’autore del riciclaggio di capitali, ma con quello del reato principale.
Su questa base sempre secondo il giudice remittente, ritenere che l’autore del reato principale poteva anche essere quello del reato di riciclaggio di capitali equivaleva a violare il principio del ne bis in idem, previsto dalla Carta europea dei diritti fondamentali dell’Unione (articolo 50) e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (articolo 4 del protocollo n. 7). Qualora fosse passata tale interpretazione la sussistenza stessa del reato di autoriciclaggio in tutti gli ordinamenti dei Paesi membri sarebbe stata non più legittima.
La Corte Ue anche sulla base delle conclusioni dell’avvocato generale ha ritenuto invece che la formulazione contenuta nella normativa antiriciclaggio riguardava la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provenivano da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l’origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni. Da tale formulazione risultava che, affinché una persona poteva essere considerata autrice di riciclaggio di capitali, quest’ultima dovesse sapere che detti beni provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a una siffatta attività. Pertanto tale requisito consisteva unicamente nel richiedere che l’autore del reato di riciclaggio di capitali conoscesse l’origine criminale dei capitali interessati.
Tale requisito era necessariamente soddisfatto per quanto riguarda l’autore dell’attività criminosa da cui provengono i capitali. risultando peraltro dal tenore letterale della norma antiriciclaggio Ue che l’atto materiale di cui a detta disposizione consiste, in particolare, nella conversione o nel trasferimento di beni, allo scopo di occultare o dissimulare l’origine illecita di tali beni.
Infine la Corte del Lussemburgo ha altresì chiarito al fine di garantire il rispetto del principio del divieto di ne bis in idem, che spetta al Giudice della causa principale del merito verificare che i fatti materiali costitutivi del reato principale, ossia l’evasione fiscale, non siano identici a quelli per i quali l’imputato è stato perseguito.
Una violazione del principio del ne bis in idem sarebbe esclusa nell’ipotesi in cui si constatasse che i fatti che hanno dato luogo al procedimento penale, a titolo di riciclaggio di capitali non sono identici a quelli costitutivi del reato principale di evasione fiscale, ciò che invece è apparso emergere dai fatti di causa esaminati dalla Corte Ue.