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La Corte Ue: nessuna esenzione Iva per la spesa di gestione dei fondi di investimento

La sentenza dello scorso 2 luglio, causa C-231/19, BlackRock Investment Management UK

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di Michele Citarella

Con la sentenza del 2 luglio (causa C-231/19, BlackRock Investment Management UK) la Corte di Giustizia Ue è tornata a occuparsi del tema dell’esenzione da Iva delle spese di gestione dei fondi comuni di investimento.

Il caso riguarda la prestazione a beneficio del gestore, mediante la messa a disposizione di una piattaforma informatica, di un complesso servizio di analisi di mercato, monitoraggio dei rendimenti e analisi dei rischi a supporto dell’attività di investimento dei fondi. Il servizio, unico e a beneficio di tutti i fondi gestiti dal committente, veniva utilizzato sia per la gestione di fondi comuni d’investimento sia per la gestione di altri fondi, dove i primi non rappresentavano la maggioranza dei fondi gestiti.

Dal momento che il prestatore del servizio non aveva sede nel Regno Unito, BlackRock - chiamata ad assolvere l’imposta con il meccanismo dell’inversione contabile - riteneva che i servizi utilizzati per la gestione degli “special investment funds” (secondo la definizione contenuta nella norma comunitaria, “SIFs”) fossero esenti da Iva ai sensi dell'articolo 135, paragrafo 1, lettera g), della Sesta Direttiva, mentre i servizi utilizzati per la gestione dei fondi diversi da questi dovessero essere assoggettati ad imposta in misura ordinaria.

Il costo del servizio è stato ripartito tra i vari fondi in funzione dell’ammontare di ciascuno di essi rispetto al totale dei fondi gestiti (non è chiaro dagli atti del procedimento cosa si intendesse per “ammontare del fondo”, ma è questo un aspetto privo di rilievo per le considerazioni che seguono).

La decisione della Corte - per cui una prestazione unica di servizi di gestione fornita a favore di una società di gestione di fondi che gestisce nel contempo “fondi comuni d’investimento” e fondi diversi da questi, non rientra nell’esenzione - si presta ad alcune considerazioni.

La circostanza che i servizi esaminati avessero le caratteristiche per rientrare tra le “attività di gestione dei fondi comuni d'investimento” e qualificarsi per l'esenzione, non ha costituito oggetto di analisi né da parte della Corte, né dell’Avvocato Generale nelle proprie conclusioni: entrambi si sono rimessi alle conclusioni del giudice nazionale che si era espresso in senso affermativo. Dall'analisi dell’Avvocato Generale emerge però più di un dubbio sul fatto che un servizio prestato da un fornitore terzo, attraverso una piattaforma informatica, utilizzabile da una pluralità di gestori, possa integrare le caratteristiche di specificità e essenzialità che dovrebbero caratterizzare l’attività di gestione dei fondi comuni d’investimento affinché possano qualificarsi per l'esenzione.

Il secondo aspetto da sottolineare attiene alla nozione di fondo d’investimento qualificante per l’esenzione e quindi alla distinzione tra SIFs e non-SIFs. Il concetto di “special investment funds” è stato introdotto nell’ordinamento italiano - con una formulazione che risale ad epoca anteriore rispetto all’avvio del processo di armonizzazione delle legislazioni dei Paesi dell'Unione in materia di organismi di investimento collettivo (che risale alla Direttiva 611/1985) – ricorrendo alla nozione di “fondi comuni d'investimento”.

Definizione che mal si concilia con l’evoluzione della normativa in materia di organismi di investimento collettivo e che lascia aperto – e finora anche poco considerato dalla giurisprudenza e dalla prassi amministrativa nazionale – il tema dell’applicazione dell’esenzione alle spese di gestione dei fondi (e, più in generale, degli Oicr) diversi dagli Oicvm, dove questi ultimi sono sicuramente da ricomprendere tra i SIFs per giurisprudenza costante della Corte di Giustizia.