Controlli e liti

La crisi di liquidità può giustificare l’omesso versamento Iva

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di Valerio Vallefuoco

Si consolida l’orientamento giurisprudenziale di merito secondo cui per configurare il reato tributario deve sussistere oltre che l’elemento oggettivo del ritardato o omesso versamento dei tributi e delle imposte anche l’elemento psicologico della volontà di evadere. Il Tribunale penale di Brindisi con una sentenza depositata il 12 gennaio scorso ha sancito il principio secondo cui in caso di omesso pagamento di Iva sopra le attuali soglie di punibilità previste deve sussistere non solo l’omesso o il ritardato versamento ma anche l’elemento soggettivo del reato (ossia il dolo di evasione) che non può considerarsi sussistente quando il contribuente si trovi nell’impossibilità oggettiva di adempire il proprio debito tributario.

La vicenda riguarda l’amministratore unico di una società che nel 2011 aveva attuato un progetto di ampliamento del posizionamento del mercato attraverso l’apertura di ulteriori punti vendita sia in Italia che all’estero con l’acquisto di una rilevante quantità di beni rispetto all’anno precedente , il progetto però non andava bene e pertanto la società si trovava con una rilevante quantità di beni invenduti ed una conseguente concreta crisi di liquidità. Tale crisi di liquidità portava l’impresa ad omettere il pagamento dell’Iva per un importo complessivo di oltre un milione di euro comportando la contestazione all’amministratore della società della violazione dell’ articolo 10-ter del Dlgs 74 del 2000 così come da ultimo modificato dal Dlgs 158 del 2015 secondo cui è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta.

Nel caso esaminato quindi il Tribunale accertava che il fatto costituente reato si fosse verificato poiché il contribuente dopo aver quantificato la sua Iva a debito non aveva provveduto al relativo versamento entro il termine previsto dell’anno successivo, ossia il 27 dicembre 2012 per l’annualità di imposta del 2011. Veniva altresì accertato che l’imputato divenuto amministratore della società nel 2012 preso atto delle difficile situazione economico-finanziaria la società chiedeva successivamente sempre al Tribunale di Brindisi di accedere alla procedura di concordato preventivo con continuità aziendale per portare avanti l’attività sociale con la finalità di procedere al pagamento dei debiti con gli utili futuri. Veniva altresì nominato un Commissario giudiziale che proponeva altresì una transazione fiscale.

La procedura tuttavia non si concludeva e il tribunale dichiarava il fallimento della società per manifesta impossibilità di prosecuzione utile dell’attività per l’opposizione del principale fornitore della società . Pertanto il Tribunale penale ha concluso che le condizioni economico- finanziarie in cui si trovava la società nonché i concreti tentativi dell’amministratore tesi a proseguire l’attività sociale al concreto fine di procedere al pagamento dei debiti maturati devono far ritenere insussistente il necessario dolo di evasione richiesto per procedere alla condanna prevista per il reato tributario.

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