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La fase 2 mette sotto esame la compliance per la «231»

Nel Dpcm sulla fase due la nuova edizione del protocollo dedicato al contrasto alla diffusione del coronavirus

di Bruno Giuffrè

Il primo provvedimento adottato dal governo per affrontare la fase 2 è la nuova edizione del protocollo recante misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro. Queste misure sono viste come il muro maestro della costruzione della strategia volta alla ripresa delle attività produttive, in attesa di un ritorno alla normalità della vita sociale del Paese.

La tutela della salute di tutti i soggetti presenti nel luogo di lavoro è quindi a maggior ragione una priorità assoluta degli organi di gestione e di controllo nelle imprese, così come dell’organismo di vigilanza come previsto dal Dlgs 231/01.

La responsabilità 231

Non è un caso del resto, che, nel pieno della crisi pandemica, l’opinione pubblica e la magistratura abbiamo acceso i riflettori proprio sul modo in cui le strutture sanitarie e, in particolare, quelle dedicate agli anziani, hanno gestito l’emergenza, e che questo abbia portato all’apertura di indagini penali in cui si ipotizza anche la responsabilità degli enti in base al decreto 231.

È facile prevedere che, nell’ambito di tali indagini, subirà un vaglio anche il modo in cui hanno operato i presidi di prevenzione e controllo, tra cui il modello 231, e i relativi attori, compreso l’organismo di vigilanza.

Al di là di questo ambito specifico, la grave crisi economica e la necessità di superare l’emergenza e di avviare la ricostruzione, pongono una sfida formidabile alla tenuta dei sistemi di governo e controllo societario come li conosciamo.

Abbassamento della guardia

È inutile negare che il supporto finanziario fornito alle imprese e ai cittadini, anche in forma di iniezioni di liquidità, e, al contempo, la forte spinta verso semplificazioni procedurali e snellimenti burocratici , fino alla sospensione di alcune regole a presidio della solvibilità delle imprese, creeranno il terreno di coltura ideale per un abbassamento della guardia sui temi della legalità e della compliance; temi che, del resto, hanno storicamente suscitato qualche insofferenza tra gli operatori quando si sono tradotti in costi improduttivi e pastoie burocratiche senza alcuna reale creazione di valore.

Per quanto riguarda le imprese, il rischio è multiforme e tale da coprire quasi per intero il vasto spettro dei reati del catalogo 231: esso riguarda in primo luogo l’ambito della sicurezza sui luoghi di lavoro, ma si estende praticamente a tutte le attività e i processi aziendali: dall’uso degli strumenti informatici ai rapporti con la Pa, dalla fiscalità ai mercati, dalla gestione della supply chain all’informazione societaria.

I controlli da adottare

Neppure in questo momento eccezionale, tuttavia, le imprese dovrebbero commettere l’errore di pensare che, in fin dei conti, spetta alla magistratura la prevenzione dei fenomeni di devianza. E che tutto quello che l’autorità non intercetta sia, tutto sommato, tollerabile.

Il principio di autoregolamentazione cui è improntata vasta parte della recente legislazione (tra cui, non ultimo, il decreto 231) e le buone pratiche di questi anni hanno fatto sì che il mondo delle imprese sia ormai permeato da una forte cultura della legalità e, soprattutto, sia dotato dell'infrastruttura di solidi sistemi di governo e controllo perfettamente adeguati a rispondere alle sfide dall'emergenza e della deregulation che questa lascerà in eredità. Alle imprese il compito di valorizzare questo patrimonio.