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La proposta / Per evitare la catena dei dissesti l’esimente di forza maggiore

Da evitare il rischio fallimento per le imprese insolventi dal 1° luglio

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di Antonio Iorio e Roberto Limitone

Tra le questioni che dovranno essere affrontate nella conversione del decreto liquidità, i cui lavori sono previsti per i prossimi giorni, vi è il rischio di fallimento per le imprese insolventi dal prossimo 1° luglio, data in cui terminerà il periodo di improcedibilità delle istanze di fallimento.

Il Dl liquidità ha, infatti, differito l’entrata in vigore delle nuove norme sulla crisi di impresa a settembre 2021 con la conseguente applicazione, fino a tale data, delle attuali regole sul fallimento, le quali non contemplano la causa di forza maggiore quale esimente dell’insolvenza (nella specie rappresentata dall’emergenza sanitaria).

Il rischio è quindi rappresentato da una sensibile diffusione delle procedure fallimentari per imprese (insolventi a causa del lockdown) allorché, dal 1° luglio, cesserà il periodo di improcedibilità delle istanze.

È evidente infatti che in un generalizzato contesto di scarsa liquidità, gli inadempimenti rischiano di diventare “contagiosi” e di coinvolgere varie aziende, con tutte le conseguenze economiche e sociali del caso.

Sarebbe pertanto auspicabile che il legislatore intervenga per tempo onde evitare di lasciare nella (ridotta) autonomia dei giudici fallimentari le decisioni del caso.

Innanzitutto si potrebbe prevedere espressamente che il fallimento non venga dichiarato per effetto dell’esimente oggettiva della forza maggiore, o per altra ragione giuridica individuata dal legislatore riferita all’attuale emergenza.

Sarebbe poi opportuno che la valutazione del rigetto di un’istanza di fallimento, ove l’imprenditore sia meritevole, sia ispirata al ”favor debitoris“, senza introdurre rilevanti differenze tra imprese sane, entrate in crisi esclusivamente per la pandemia, ed imprese, già in difficoltà, per le quali il lockdown ha rappresentato l’evento decisivo (negativo).

D’altro canto, onde evitare speculazioni da parte dell’imprenditore interessato, una volta rigettata l’istanza, potrebbe essere nominato, a cura del Tribunale, un commissario, per un certo arco temporale, affinché collabori nella gestione dell’impresa non fallita per la ricerca di adeguate soluzioni alla crisi.

I commissari, che opererebbero sotto la vigilanza del giudice, adempierebbero così a una duplice funzione: assistere l’imprenditore non fallito nel fronteggiare il particolare momento e vigilare sull’ utilizzo adeguato dei fondi statali.

Sempre nell’ottica di evitare eventuali gestioni non corrette, si potrebbe prevedere per gli atti più rilevanti, quali ad esempio quelli di straordinaria amministrazione, un sistema di autorizzazioni del Tribunale.

L’alternativa a simili soluzioni è rappresentata dalla dichiarazione di fallimento dell’impresa e dall’eventuale cessione a terzi, con o senza un propedeutico affitto di azienda, nel caso anche con un finanziamento pubblico all’acquirente. In questa ipotesi però si rischia di penalizzare ingiustamente l’imprenditore in crisi e di allontanarlo dalla propria azienda pur non avendo avuto (per una volta) nessuna colpa nel suo dissesto.