La responsabilità per il debito tributario si ferma se non c’è inerenza al ramo d’azienda ceduto
Il contribuente è chiamato a dimostrare l’autonomia funzionale e l’estraneità rispetto all’oggetto della cessione attraverso libri contabili e certificazione su contestazioni in corso e già definite
Sotto il profilo civilistico, nell’ambito della cessione di ramo d’azienda l’acquirente risponde, in base all’articolo 2560 del Codice civile, dei debiti pregressi risultanti dai libri contabili obbligatori, a condizione che siano inerenti alla gestione del ramo d’azienda ceduto: in tal senso si è da tempo assestata la giurisprudenza di legittimità (si veda, per tutte, Cassazione 13319/2015). Al riguardo, con la sentenza 11678/2022, la sezione tributaria della Suprema corte ha fornito ulteriori chiarimenti sulla portata di tale principio, disattendendo la tesi dell’agenzia delle Entrate secondo cui il medesimo non sarebbe applicabile al debito tributario.
La posizione assunta dal Fisco prende le mosse dall’articolo 14 del Dlgs 472/1997, in base al quale il cessionario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda: l’Agenzia, in particolare, fonda la propria tesi sulla circostanza secondo cui il richiamato articolo 14 è una norma speciale non farebbe alcun cenno al principio di inerenza.
I giudici di legittimità si sono mostrati peraltro di diverso avviso, affermando che, in materia di responsabilità del cessionario del ramo di azienda per i debiti del cedente, il principio dell’inerenza del debito, desumibile dall’articolo 2560 del Codice civile, è applicabile anche ai debiti tributari. Ciò, tuttavia, a patto che il contribuente provi che:
1. è stato ceduto un ramo d’azienda, inteso come entità economica organizzata in maniera stabile rispetto all’azienda principale, dotata di una sua autonomia funzionale;
2. il debito tributario inerisce non al ramo d’azienda ceduto, ma ad altro ramo d’azienda, rimasto di proprietà del cedente oppure ceduto a terzi.
Per quanto riguarda la verifica richiamata al punto 1), appare utile richiamare l’insegnamento della Cassazione secondo cui rappresenta elemento costitutivo della cessione l’autonomia funzionale del ramo ceduto, «ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente».
Non solo: è stato altresì affermato che per «ramo d’azienda», come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per la cessione di azienda, deve intendersi ogni unità la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità e «consenta l’esercizio di una attività economica finalizzata al perseguimento di uno specifico obiettivo» (Cassazione 9361/2014; in tal senso si richiama anche Corte di giustizia Ue, sentenza 24 gennaio 2022, causa C-51/00).
La prova relativa al precedente punto 2) dovrà essere fornita attraverso – ha sottolineato la Suprema corte - «l’esibizione dei libri contabili» e del certificato (previsto dal terzo comma dell’articolo 14 del Dlgs 472/97) rilasciato dall’amministrazione fiscale, e relativo all’esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite, per le quali i debiti tributari non sono ancora stati soddisfatti.