La Sas non deve ripianare le perdite
Nella società di persone non vi è alcun obbligo di ripianamento delle perdite conseguite dalla società; vi è unicamente l’onere di coprirle se si vogliano distribuire gli utili, in quanto è sancito il divieto di distribuzione di utili se vi siano perdite e fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente alle perdite maturate.
È quanto deciso dalla Cassazione nella sentenza n. 23/2017 , la quale, dunque, fa il punto su una materia (quella delle perdite formatesi nelle società di persone) che la giurisprudenza non ha mai preso in considerazione. Le perdite delle società di persone sono osservate nell’articolo 2303 del Codice civile il quale sancisce che non può farsi luogo a ripartizione di somme tra soci se non per utili realmente conseguiti e che, se si verifica una perdita del capitale sociale, non può appunto «farsi luogo a ripartizioni di utili fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente».
Si pone dunque il tema se, in caso di perdite, anche nella società di persone si debba far luogo al loro ripianamento, come imposto, per le società di capitali, dagli articoli 2446 e 2447 del Codice civile, per i quali:
quando risulta che il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite, gli amministratori devono adottare «opportuni provvedimenti» e, se la situazione non migliora entro l’esercizio successivo, l’assemblea che approva il bilancio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate;
se, per la perdita di oltre un terzo del capitale, questo si riduce al disotto del minimo legale, gli amministratori devono «senza indugio» convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale e il contemporaneo aumento del medesimo a un importo non inferiore al minimo legale o la trasformazione della società.
La risposta della Cassazione è che nelle società di persone non è obbligatorio far luogo al ripianamento delle perdite per la ragione che, nelle società personali, i creditori non trovano la loro tutela nel capitale sociale (come invece avviene nelle società di capitali) ma nella responsabilità solidale e illimitata dei soci per le obbligazioni facenti capo alla società. Nelle società di persone, infatti, il capitale sociale (che può anche non sussistere: si pensi al caso della società partecipata solamente da “soci d’opera”), e cioè la sommatoria del valore dei conferimenti effettuati dai soci, serve solamente per determinare le quote di ripartizione degli utili tra i soci (e del patrimonio sociale, in caso di liquidazione della società) e per rappresentare un limite alla distribuzione di detti utili, i quali infatti possono essere suddivisi tra i soci solo se non vi siano perdite che intacchino il capitale stesso.
Dal fatto che la legge non detta un obbligo di ripianamento delle perdite nelle società di persone (ma solo un onere di ripianamento ove si voglia comunque procedere alla distribuzione di utili), deriva che, in caso di società in accomandita semplice (che è la fattispecie venuta al giudizio della Cassazione nella sentenza n. 23 del 2017), i soci accomandanti (quelli cioè a responsabilità limitata) non possono pretendere dai soci accomandatari (quelli a responsabilità illimitata) che questi ultimi provvedano, con il loro patrimonio personale, a ripianare le perdite: pertanto, dato che non vi è un obbligo di ripianamento delle perdite nelle società di persone, la copertura delle perdite viene di fatto a “gravare” su tutti i soci, poiché esse devono essere ripianate (non con nuovi apporti dei soci illimitatamente responsabili, ma) con gli utili che la società consegua dopo che le perdite si siano formate.