Le giacenze di magazzino non bloccano la rettifica con studi di settore
È legittimo l’accertamento da studio di settore nei confronti di una società che si trova in una difficile situazione economico-finanziaria ma che presenta rilevanti giacenze di magazzino, dovute ad acquisti a pieno ritmo; è quanto affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 952 del 17 gennaio 2018, che ha respinto il ricorso di una società.
La società è ricorsa in Cassazione avverso la sentenza della Ctr che aveva accolto l’appello delle Entrate; i giudici di secondo grado hanno dichiarato legittimo l’avviso di accertamento, sulla base di un accertamento analitico-contabile fondato sugli studi di settore. Nel ricorso in Cassazione la società censura la sentenza della Ctr per non avere ritenuto giustificato lo scostamento della posizione reddituale della società, sulla base del fatto che non è stato esaminato lo scostamento dallo studio di settore della ricorrente.
Corrisponde al vero che la società ha subito un periodo di grave contrazione lavorativa, con ricorsi continui alla cassa integrazione; tuttavia , secondo la sentenza impugnata, la contrazione dell’organico del personale è sembrata più attribuibile alla trasformazione dell’attività da produzione a commercio all’ingrosso. Inoltre, nonostante la crisi, le giacenze di magazzino si sono dimostrate rilevanti e gli acquisiti sono rimasti consistenti. Fatti questi che evidenziano una contraddizione nelle tesi della società che nonostante la pesante situazione economico-finanziaria, ha continuato ad acquistare a pieno regime.
La Cassazione, nell’esaminare il ricorso, evidenzia che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione degli studi di settore nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente; in tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame.
Nel caso in esame, la Cassazione osserva che dall’esito dell’attivazione del contraddittorio le presunzioni semplici, rinvenienti dagli studi di settore, hanno assunto la connotazione di presunzioni gravi, precise e concordanti, non avendo la società offerto elementi idonei a giustificare il disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai parametri individuati negli studi di settore. Per la Cassazione è da ritenersi corretta la tesi dei giudici tributari di secondo grado i quali hanno ritenuto che la stato di crisi aziendale dedotto dalla società ricorrente fosse in contrasto con la situazione reale, tenuto in specie conto del fatto che la società, sino all’anno di imposta oggetto di accertamento , aveva operato consistenti investimenti e acquisti, e che solo in un periodo di imposta , in occasione del cambio di attività, aveva fatto ricorso alla mobilità.