Imposte

Le interferenze fra transfer price e falso in bilancio

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di Ivo Caraccioli

La posizione interpretativa assunta dalle Sezioni unite della Cassazione relativamente alla formula «fatti materiali» nel contesto dell’articolo 2621 Codice civile («False comunicazioni sociali») e, specificamente, quali siano (se esistono) le conseguenze sistematiche dell’interpretazione stessa sulla specifica tematica del transfer pricing (Tp) in relazione alla normativa concernente tale istituto, è un problema che risulta non essere stato finora specificamente esaminato dalla dottrina né risulta essere stato oggetto di particolari interventi giudiziari.

Al riguardo è noto che la Cassazione a Sezioni unite, con la sentenza 22474 del 27 maggio 2016, ha inteso da ultimo abbracciare la tesi della sussistenza di una responsabilità penale anche di contenuto valutativo.

Senza potersi qui approfondire la portata delle nuove fattispecie criminose modificate, va escluso che alla tematica possa in alcun modo riferirsi il nuovo testo della dichiarazione infedele di cui all’articolo 4 del Dlgs 70/2000, in considerazione della necessità che ora si tratti propriamente di «elementi negativi inesistenti (non più genericamente fittizi)». E infatti, se è vero che tale aspetto della riforma riguarda tutte le fattispecie criminose nelle quali figura l’espressione «fittizi», e quindi risulta riferibile anche al reato di cui all’articolo 3 (Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici), allorché si parla di transfer pricing ci si riferisce ai documenti previsti dalla normativa per tale tipo di operazioni. Ne consegue che il tema va circoscritto all’interpretazione da dare all’espressione «avvalendosi di documenti falsi», chiedendosi in particolare se essa possa o meno abbracciare anche la “documentazione Tp”. Si tratta di valutare se i documenti in questione (ove “falsi”) possano essere ricondotti alla categoria di quelli «detenuti a fini di prova nei confronti dell’Amministrazione finanziaria» richiamati dal comma 2 dell’articolo 3 citato .

A nostro avviso, la disgiuntiva «o» rispetto all’altra ipotesi prevista nello stesso comma 2 dell’articolo 3 citato («scritture contabili obbligatorie») è tale da rendere valida la tesi in forza della quale la seconda, più generica, espressione può legittimamente essere riferita anche alla documentazione Tp prevista dall’articolo 26 del Dl 78/2010 (convertito dalla legge 122/2010), sicuramente sussistendo il requisito, espressamente previsto – e costituente una novità nel linguaggio penal-tributario – della loro valenza «a fini di prova nei confronti dell’Af».

Ne consegue, allora, che, sotto il profilo strettamente penaltributario, nulla impedisce a che eventuali mendaci dichiarazioni e/o esposizioni fattuali contenute in tali documenti, al fine appunto di legittimare determinate operazioni di Tp, ben possono costituire la base giuridica per l’affermazione di penale responsabilità – in presenza ovviamente di tutti gli altri elementi di fattispecie previsti – per il reato in questione.

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