Contabilità

LE PAROLE DEL NON PROFIT/Conflitto di interessi anche per gli amministratori nel Terzo settore

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di Martina Manfredonia e Gabriele Sepio

Disciplina del conflitto di interessi degli amministratori di Srl estesa anche alle associazioni e fondazioni del Terzo settore. Questo è quanto espressamente previsto dal Dlgs 117/2017 (articolo 27), al fine di eliminare ogni dubbio sulla responsabilità degli amministratori di enti non profit. Prima della riforma non esisteva una normativa specifica per questi soggetti ma si applicavano analogicamente le norme dettate in tema di società di capitali. Tuttavia, essendo il conflitto di interessi disciplinato diversamente nelle Spa e nelle Srl, si è a lungo discusso su quale fosse il modello di riferimento per gli enti non profit.

Il Codice del Terzo settore pone fine a ogni dubbio: il modello base da seguire in materia di conflitto di interessi è quello dell’articolo 2475-ter del Codice civile. A questo riguardo, il conflitto può manifestarsi su due distinti livelli: all’esterno, nei contratti conclusi dall’amministratore che ha la rappresentanza dell’ente; all’interno, in sede di delibera del consiglio di amministrazione. Nel primo caso, i contratti conclusi in nome e per conto dell’ente dall’amministratore in conflitto di interessi potranno essere annullati su domanda dell’ente stesso (associazione/fondazione) se il conflitto era conosciuto o conoscibile dal terzo. Ciò, indipendentemente dall’esistenza di un effettivo danno per l’ente. È il caso, ad esempio, della vendita di un immobile di proprietà dell’associazione a favore del coniuge di un amministratore per un prezzo di molto inferiore a quello di mercato. O, ancora, l’ipotesi in cui l’associazione si impegni contrattualmente a fornire determinati servizi ad un ente diverso, gestito dallo stesso soggetto amministratore.

Diversa disciplina si applica invece quando il conflitto di interesse riguarda le decisioni assunte dall’organo amministrativo. In base all’articolo 2475-ter, la delibera del Cda potrà essere impugnata dagli altri amministratori (e, ove presenti, dai sindaci e dai revisori), laddove sia stata presa con il voto determinate dell’amministratore in conflitto e abbia arrecato un danno patrimoniale alla società. In questo caso, però, l’impugnativa incontra dei limiti più decisi, quali la sussistenza di un effettivo danno patrimoniale per l’ente, il limite temporale di 90 giorni e la salvezza dei diritti acquisiti in buona fede dai terzi in base agli atti compiuti in esecuzione della decisione.

A ben vedere, la scelta di riproporre il modello delle Srl sembra dettata dalla volontà di non imporre ad enti spesso caratterizzati da una forte componente personalistica il regime più rigoroso dettato per le Spa. Se, infatti, sui contratti conclusi dall’amministratore in conflitto la disciplina è identica per i due tipi di società, per le delibere dell’organo amministrativo delle Spa sono previste regole più stringenti, volte a garantire maggiore trasparenza e affidabilità nella correttezza della gestione (obbligo di informativa di ogni interesse, anche non in conflitto, con la società; astensione dall’operazione, se il conflitto riguarda l’amministratore delegato; obbligo per il Cda di motivazione sulle ragioni e la convenienza dell’operazione). Si ritiene in ogni caso che il rinvio all’articolo 2475-ter del Codice civile sia da intendersi quale garanzia minima per gli enti, non escludendosi la possibilità per le associazioni e fondazioni che lo ritenessero opportuno di regolamentare a livello statutario il conflitto di interessi, aggiungendo al regime legale ulteriori obblighi (informativi o motivazionali) a carico degli amministratori o del Cda.

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