Le perizia non contestata giustifica le pretese dell’Erario
Il valore probatorio della perizia di parte nel processo tributario è ancora oggetto, nonostante la costante Cassazione sul tema, di numerosi equivoci. È quindi utile ripercorrere sia la normativa che la giurisprudenza.
La perizia dell’ente impositore
Il processo tributario ammette le “prove atipiche”, intese come rappresentazioni documentali idonee a dimostrare sia i fatti alla base del recupero d’imposta, sia quelli funzionali alla sua contestazione.
In particolare, l’ente impositore può ricorrere a perizie tecniche di tipo estimativo, per fondare la pretesa tributaria. Il caso tipico è quello delle perizie Ute (ufficio tecnico erariale) in ambito immobiliare, che possono rilevare, ad esempio, ai fini della liquidazione dell’imposta di registro sui trasferimenti (l’articolo 51, comma 3 del Dpr 131/86 ammette «ogni altro elemento di valutazione» del valore del’immobile).
Sul tema, è bene aver chiaro che le perizie pubbliche, benchè espressione di una posizione “di parte”, se non adeguatamente contestate da parte dei ricorrenti in contenzioso, divengono elemento sufficiente a motivare ed a legittimare il recupero d’imposta. Nel processo tributario, infatti, che è processo d’impugnazione e merito, è onere del ricorrente impugnare l’atto impositivo per motivi “specifici” (articolo 18 del Dlgs 546/92): e se le risultanze della stima pubblica sono contestate solo genericamente, allora il giudice tributario, verificatane l’idoneità a superare le eccezioni di parte, non potrà che confermare la pretesa fiscale. Resta fermo che la sentenza dovrà motivare la fondatezza della perizia Ute, pena il vizio di motivazione (Cassazione 14418/2014, 9357/2015, 11080/2018).
La perizia pubblica Ute non è quindi di per sé insufficiente, ai fini della ripresa fiscale, in quanto mera espressione di una “tesi di parte”. La dialettica del processo tributario impedisce infatti tale conclusione, perché il giudice è sempre tenuto a comparare la stima Ute con le contestazioni dell’interessato, confermando la prima se le seconde sono evanescenti. Qualora, al contrario, il contribuente fornisca fondate argomentazioni avverso le risultanze della relazione tecnica pubblica, potrà eccepirsi il vizio motivazionale della sentenza che ometta di prenderle in considerazione (Cassazione 8249/2018, 11632/2017).
..e quella del ricorrente
Per regola generale, una perizia in tanto è idonea a fornire “argomenti” di prova, piuttosto che meri indizi dall’efficacia induttiva o argomentativa, in quanto sia connotata da una provenienza “terza”. Orbene, laddove la perizia tecnico/estimativa sia redatta da un professionista, assoldato dal ricorrente, a rigore essa non può qualificarsi di fonte “terza” o neutrale: e, per tale motivo, dovrebbe limitarsi ad introdurre nel giudizio elementi di valore meramente indiziario (se non addirittura inferiore) liberamente valutabili (esattamente come una “dichiarazione di terzo”, Corte costituzionale, sentenza 18/2000).
Lo conferma la costante giurisprudenza di Cassazione, per la quale la perizia di parte rappresenta, nel processo tributario, una mera allegazione difensiva a contenuto tecnico, priva di autonomo valore probatorio (Cassazione, sentenze 16242/2018, 21132/2016 e 16552/2015). Di conseguenza, la Cassazione ammette il deposito della perizia nel giudizio tributario, anche nel corpo di una memoria difensiva di parte, nel rispetto del termine dei dieci giorni liberi dall’udienza di trattazione; e non dei venti giorni liberi precedenti, come se si trattasse di un documento (Cassazione, sentenza 22965/2017).
Resta fermo che il giudice di merito, per il principio del suo «libero convincimento» o «prudente apprezzamento», può sempre individuare, nel contenuto oggettivo o valutativo della perizia del contribuente, elementi di convincimento. In tale caso, dovrà però spiegare, nella sentenza, le puntuali ragioni per le quali ha ritenuto la perizia corretta e convincente (Cassazione, sentenza 14418/2014).