Controlli e liti

Le plusvalenze del collezionista privato non sono tassabili: irrilevanti provenienza e valore

Gli ultimi orientamenti giurisprudenziali sul trattamento fiscale delle opere d’arte

di Francesco Avella

È normale che un mero collezionista acquisti e venda opere d’arte allo scopo di arricchire la propria collezione e dedichi tempo alla creazione e al mantenimento della propria collezione (sentenza n. 1412/2018 della Ctr Piemonte) e nemmeno l’esposizione in varie mostre integra atti economici finalizzati all’incremento del valore per il raggiungimento dello scopo speculativo (sentenza n. 59/2019 della Ct II grado Trentino Alto Adige). Al contrario, però, il continuo operare mediante permute con altre opere e la quantità rilevante di opere compravendute possono dimostrare la natura commerciale dell’attività (sentenza n. 888 del 12 settembre 2017 della Ctr Veneto).

La giurisprudenza
Sono gli ultimi orientamenti della giurisprudenza di merito su una tematica di grande attualità, quella della tassazione delle plusvalenze derivanti dalla vendita di opere d’arte e beni d’epoca in genere, vista la tendenza di molti ad intendere tali beni come beni rifugio e/o beni ad andamento decorrelato rispetto ai tipici investimenti finanziari.
Tematica che, tuttora, non manca di generare incertezze, visto che esiste una specifica disciplina per tali incrementi di ricchezza. La questione viene dunque spostata dalla tipologia di bene ceduto, alla natura dell’attività posta in essere, così che secondo la Corte di cassazione (sentenze n. 8196 del 31 marzo 2008 e n. 21776 del 20 ottobre 2011) è necessario distinguere tra:

• “mercante d’arte” professionale, per il quale le cessioni di opere d’arte e beni d’epoca in genere darebbero luogo a redditi imponibili in quanto derivanti da una attività commerciale esercitata abitualmente (redditi d’impresa ex articolo 55 Tuir);

• “venditore occasionale” che compra e rivende occasionalmente tali beni con finalità di incrementarne il valore ponendo in essere atti intermedi a ciò volti, per il quale si avrebbero redditi imponibili in quanto derivanti da una attività commerciale non esercitata abitualmente (redditi diversi ex articolo 67, comma 1, lettera i), Tuir);

• “mero collezionista”, per il quale non si darebbe luogo ad alcun reddito imponibile in quanto fattispecie non contemplata nel Tuir.

I riflessi
Secondo taluni, se ne potrebbe inferire che il “mero collezionista” sia soltanto colui che cede opere ricevute a seguito di donazione o eredità. Tale ricostruzione non pare però corretta e, infatti, la Ctr Piemonte 1412/2018 e la Ct II grado Trentino-Alto Adige 59/2019 sopra richiamate (nonché le meno recenti Ctr Toscana 826/2016 e Ctr Veneto 279/2016) hanno riconosciuto la natura di “mero collezionista” a soggetti che avevano acquistato le opere in precedenza.
Taluni ritengono anche che l’ingente valore del bene compravenduto, anche laddove si tratti della vendita di un singolo bene, possa determinare di per sé la natura commerciale dell’attività svolta. Anche tale ricostruzione non pare però ammissibile, come confermato dalla Ct II grado Trentino-Alto Adige 59/2019 e dalla meno recente Ctr Veneto 279/2016 che hanno espressamente riconosciuto la natura di “mero collezionista” a soggetti che avevano ceduto opere di ingente valore.

Le conclusioni
In definitiva, quindi, la natura commerciale dell’attività svolta deve risultare da evidenze di una programmazione volta al conseguimento di profitti, caratterizzata dal compimento di atti economici finalizzati all’incremento del valore del bene per il raggiungimento dello scopo speculativo, e non è riscontrabile nel semplice appassionato né tantomeno nell’investitore che acquisti tali tipologie di beni nella logica di beni rifugio e/o beni ad andamento decorrelato rispetto ai tipici investimenti finanziari.

Per approfondire:

Vendita di opere d’arte, gli atti collegati fanno scattare l’attività commerciale

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