Le polizze vita unit-linked hanno natura assicurativa
Il Tribunale di Brescia attraverso la sentenza del 13 giugno 2018 ha affermato la natura assicurativa delle polizze vita “unit-linked” e la conseguente applicabilità alle stesse della protezione prevista dall’articolo 1923, Codice civile, in relazione all’ impignorabilità e alla insequestrabilità delle somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario della polizza, in considerazione del fatto che la normativa europea, applicabile alle medesime, non prevede la sussistenza di una garanzia di restituzione del capitale investito e, di conseguenza, le stesse possono essere qualificate come polizze sulla vita.
Ai fini dell’articolo 1923 del Codice civile, pertanto, anche le polizze “unit-linked” rientrano nella nozione di contratto assicurativo sulla vita in quanto la funzione previdenziale di un investimento non può discendere sic et simpliciter dalla sussistenza di un rendimento garantito ovvero dall’assenza di un rischio di investimento in capo al sottoscrittore; del resto, anche nelle forme di previdenza complementare, la cui finalità previdenziale non è mai stata oggetto di controversie, la garanzia del rendimento è meramente eventuale e il rischio dell’investimento incombe sul sottoscrittore.
La menzionata pronuncia si inserisce nell’attuale disputa dottrinale e giurisprudenziale, puntellando la tenuta dei prodotti “unit-linked” preso atto che il Giudice bresciano ha sentenziato che la funzione previdenziale di una polizza non è correlata solamente alla sussistenza di un rendimento garantito, ritrovandosi l’origine previdenziale piuttosto nell’orizzonte temporale, mentre quella assicurativa nell’assunzione da parte della Compagnia di un rischio demografico.
Il potere del Giudice di riqualificare un contratto non può pertanto essere esercitato con modalità indifferenti al concreto dispiegarsi delle dinamiche operanti nei mercati in cui tale contratto si colloca, dovendosi pretendere oneri di allegazione rinforzati in capo alla parte interessata in funzione della diversa qualificazione del rapporto, a dispetto del nomen juris, qualora si tratti di contratti perfezionati nel contesto di mercati caratterizzati da una significativa impronta pubblicistica e da un substrato regolamentare minuzioso, quali risultano essere il mercato finanziario e quello assicurativo.
Anche la Corte Suprema attraverso la recente ordinanza n. 10333/2018, non ha apportato alcun nuovo elemento ai principi già sanciti dalla sentenza n. 6061/2018, sulla distinzione tra contratti di assicurazione sulla vita e contratti di investimento finanziario.
Ci si interroga tuttavia sulle ricadute del relativo inquadramento sul tributo successorio, tenuto conto che le polizze vita risultano escluse dall’ambito di applicazione dell’imposta sulle successioni in quanto, come ribadito dal comma 1, lettera c) dell’articolo 12 del Dlgs 346/1990, si tratta di importi spettanti per diritto proprio agli eredi a differenza degli investimenti finanziari del de cuius, i quali entrano in successione a dalla porta principale.
A tal proposito deve essere rappresentato che la Corte Suprema (sentenza 3263/2016), interessandosi di liberalità indirette e polizze vita, ha sancito che lo spirito di liberalità può essere presunto solo qualora i beneficiari siano soggetti differenti da coloro che ricevono sostentamento dal contraente mentre, nel caso opposto, deve essere esclusa la possibilità di configurare una liberalità indiretta in quanto la polizza persegue una finalità previdenziale.
Tribunale di Brescia, sentenza del 13 giugno 2018