Professione

Le prestazioni gratuite dei professionisti scongiurano i controlli con la lettera d’incarico

Per evitare contestazioni meglio formalizzare in anticipo il rapporto senza oneri con persone fuori dalla cerchia dei parenti

di Rosanna Acierno

Nell’ambito di una verifica svolta nei confronti dei professionisti, può accadere che il Fisco contesti le eventuali prestazioni che non risultano remunerate, come ad esempio la predisposizione e la trasmissione delle dichiarazioni fiscali da parte dei commercialisti o delle dichiarazioni Docfa da parte di ingegneri, architetti e geometri o, ancora, l’assistenza e la difesa in sede contenziosa da parte di avvocati e altri professionisti abilitati.

Sebbene, infatti, sia ragionevole ritenere che nell’ambito dello svolgimento della propria attività il professionista possa prestare anche servizi che non saranno oggetto di alcuna remunerazione (e, dunque, di alcuna fatturazione), nei confronti di propri familiari e/o amici o anche a clienti, per un eventuale ritorno economico indiretto, da sempre l’amministrazione finanziaria sostiene che l’omessa fatturazione di servizi rappresenta una condotta manifestamente antieconomica e che la gratuità delle prestazioni non può essere considerata verosimile nei confronti di soggetti diversi dai congiunti del titolare dello studio.

Generalmente, l’accertamento comincia con l’invio di un questionario con cui l’ufficio chiede al professionista di esibire le parcelle emesse in un certo anno d’imposta.

Sulla base poi dei dati presenti in Anagrafe tributaria e relativi proprio, ad esempio, all’elenco delle dichiarazioni trasmesse dal professionista o alle deleghe allo stesso conferite, l’ufficio effettua un riscontro tra i clienti nei confronti dei quali le parcelle sono state emesse e le dichiarazioni trasmesse o i ricorsi proposti.

Qualora poi da tale raffronto emergano dichiarazioni o ricorsi non fatturati, gli accertatori procedono con la ricostruzione presuntiva dei compensi non fatturati e non dichiarati ai sensi dell’articolo 39, comma 1, lettera d) del Dpr n. 600/73 (cosiddetto accertamento analitico induttivo), assumendo, generalmente, come parametro i compensi stabiliti sulla base delle tariffe professionali, ove vigenti, o sulla base di quelle raccomandate dagli Ordini o dalle categorie professionali e moltiplicando il numero delle prestazioni che non risultano fatturate per la tariffa stimata.

Pur tenendo presente che la Cassazione, con diverse pronunce, ha stabilito che l’onerosità della prestazione professionale non è essenziale (sentenza n. 16966/2005) e che non sono contestabili da parte dell’amministrazione finanziaria le prestazioni rese dai professionisti a titolo gratuito a favore di parenti, amici, soci di società già clienti a pagamento dello studio e di altre persone in grado di incrementare la clientela (sentenza n. 21972/2015), al fine di prevenire e scongiurare eventuali accertamenti basati sulla gratuità delle prestazioni rese, nei casi in cui i beneficiari delle prestazioni gratuite non siano legati da rapporti di parentela con il professionista ( in tal caso la gratuità è evidente) potrebbe essere opportuno predisporre e inviare prima di svolgere la prestazione, lettere di incarico in cui si evidenzino le motivazioni per cui non sarà previsto alcun corrispettivo.

Allo stesso fine, invece, non sembra opportuno prevedere un corrispettivo simbolico, anche in virtù del principio dell’equo compenso in base al quale il compenso deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto e, comunque, conforme ai parametri ministeriali stabiliti in caso di liquidazione giudiziale dei compensi.

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