Imposte

Le risposte delle Entrate a Speciale Telefisco 2023

Le indicazioni fornite dai funzionari dell’Agenzia in occasione del convegno del Sole 24 Ore

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Pubblichiamo qui di seguito le prime risposte fornite dall’agenzia delle Entrate in occasione di Speciale Telefisco del 20 settembre 2023.

IVA

Dichiarazioni d’intento e sanzioni

Domanda. L’esportatore abituale acquista ampiamente nel limite del proprio plafond disponibile, ma qualche fornitore emette fatture non imponibili per un ammontare superiore a quello indicato nella dichiarazione di intento. Il cliente/esportatore non ha provveduto alla regolarizzazione dell’operazione. Considerato che, sebbene il fornitore emetta una fattura ex art. 8, comma 1, lett. c), Dpr 633/1972 per un importo non imponibile ai fini Iva superiore a quanto indicato nella dichiarazione d’intento, non si tratta di un’ipotesi di splafonamento, quale sanzione è irrogabile in capo all’esportatore abituale?

Risposta. Gli esportatori abituali (soggetti passivi Iva che, nei dodici mesi precedenti, hanno effettuato cessioni all’esportazione, cessioni intracomunitarie o altre operazioni assimilate per un ammontare superiore al 10% del volume d’affari), al fine di poter effettuare acquisti non imponibili ai fini Iva, di cui all’articolo 8, primo comma, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, devono trasmettere, telematicamente, all’Agenzia delle entrate una apposita dichiarazione d’intento e comunicarne gli estremi del protocollo ai fornitori, affinché questi ultimi possano riscontrarne, sul sito dell’Agenzia, l’avvenuta presentazione prima di emettere fatture non imponibili. Qualora l’esportatore abituale riceva una fattura non imponibile, nel limite del proprio plafond disponibile, ma per un importo superiore alla dichiarazione d’intento rilasciata al fornitore, può incorrere nella sanzione di cui all’articolo 6, comma 8, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (pari al 100 per cento dell’imposta, con un minimo di euro 250), qualora non provveda alla sua regolarizzazione nei termini e con le modalità ivi indicate.

Termine per la rettifica

Domanda. Ai sensi dell’articolo 26, comma 5, Dpr 633/1972: “Ove il cedente o prestatore si avvalga della facoltà di cui al comma 2, il cessionario o committente, che abbia già registrato l’operazione ai sensi dell’articolo 25, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell’articolo 23 o dell’articolo 24, nei limiti della detrazione operata, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa”. Se la circolare 1/E/2018 è chiara nell’indicare il termine ultimo entro il quale il cedente/prestatore può rettificare il suo debito Iva in diminuzione – «la nota di variazione in diminuzione deve essere emessa (e la maggiore imposta a suo tempo versata può essere detratta), al più tardi, entro la data di presentazione della dichiarazione Iva relativa all’anno in cui si è verificato il presupposto per operare la variazione in diminuzione» – non sembra altrettanto chiaro il termine entro il quale il cessionario/committente che riceve la nota deve provvedere alla rettifica in diminuzione della detrazione precedentemente effettuata. Si può ipotizzare che, per il cessionario/committente, il termine per annotare la nota di variazione nel registro ex articoli 23 o 24 Dpr 633/1972 decorra – come del resto vale ai fini dell’esercizio del diritto alla detrazione – dal momento in cui è venuto in possesso del documento, ovvero dalla data di ricevimento della fattura?

Risposta. A norma dell’articolo 26 del Dpr 633 del 1972, le note di variazione sono emesse per rettificare, in aumento o in diminuzione, importi oggetto di precedente fatturazione. La nota di variazione (di addebito o di accredito) ha gli stessi requisiti della fattura e deve essere emessa, con riferimento all’originaria fattura, per la differenza dell’importo risultante errato o concesso a titolo di sconto.
La rettifica in diminuzione rappresenta una mera facoltà attribuita al cedente/prestatore. Questi, infatti, risulta titolare di un diritto potestativo che, in quanto tale può decidere se esercitare o meno. Una volta emessa la nota di variazione in diminuzione (“nota di credito”), il cessionario/committente deve annotarla in diminuzione nel registro degli acquisti ovvero, in alternativa, in aumento nel registro delle fatture emesse, al fine di far emergere l’Iva a debito. In tale evenienza, il termine per l’annotazione della nota di variazione, ex articoli 23 o 25 del Dpr 633 del 1972, decorre dalla data di ricevimento della stessa.

DEFINIZIONI E CONTENZIOSO

Nuova sanzione per reverse charge

Domanda. L’articolo 1, comma 152, della legge n. 197/2022 ha previsto una «nuova» sanzione nel caso di reverse charge utilizzato nell’ambito di false fatturazioni. In particolare, l’ultimo periodo del comma 9-bis.3 dell’articolo 6 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, prevede che le disposizioni dei periodi precedenti (ossia che se il cessionario o committente applica l’inversione contabile per operazioni esenti, non imponibili o, comunque, non soggette a imposta, in sede di accertamento, devono essere espunti sia il debito computato da tale soggetto nelle liquidazioni dell’imposta che la detrazione operata nelle liquidazioni anzidette) non si applicano e il cessionario o committente è punito con la sanzione di cui al comma 6 del medesimo articolo 6 (in misura pari al 90 per cento dell’ammontare della detrazione compiuta) con riferimento all’imposta che non avrebbe potuto detrarre, quando l’esecuzione delle operazioni inesistenti imponibili è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cessionario o committente era consapevole. In tali casi, atteso il tenore letterale della norma, gli Uffici applicheranno solo la predetta sanzione del 90 per cento ovvero sarà irrogata anche la sanzione per infedele dichiarazione?

Risposta. La legge 29 dicembre 2022, n. 197 ha modificato l’articolo 6, comma 9-bis.3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, intendendo regolare espressamente, sotto il profilo sanzionatorio, le operazioni inesistenti astrattamente imponibili, poste in essere con intento fraudolento, con l’applicazione dell’Iva, secondo il regime dell’inversione contabile (cd. “reverse charge”).
L’intervento normativo si è concretizzato nell’inserimento del seguente ultimo periodo nel citato articolo 6, comma 9-bis.3: «Le disposizioni dei periodi precedenti non si applicano e il cessionario o committente è punito con la sanzione di cui al comma 6 con riferimento all’imposta che non avrebbe potuto detrarre, quando l’esecuzione delle operazioni inesistenti imponibili è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cessionario o committente era consapevole».
Per le suddette violazioni, si rende dunque applicabile la sanzione proporzionale prevista nei casi di illegittima detrazione dal comma 6 dello stesso articolo 6 del decreto legislativo n. 471 del 1997, pari al 90 per cento dell’ammontare della detrazione indebitamente operata.
Si rappresenta che, nelle ipotesi contemplate dal novellato ultimo periodo del comma 9-bis.3 dell’articolo 6, la sanzione di cui al precedente comma 6 esaurisce l’intero carico sanzionatorio applicabile alle violazioni in argomento, non essendo applicabile anche la sanzione per infedeltà dichiarativa.
Tale interpretazione deve trarsi dal tenore letterale della norma, considerato che, nel contesto del medesimo articolo 6, qualora il legislatore ha ritenuto di stabilire l’applicabilità di più sanzioni per le operazioni in reverse charge, lo ha indicato espressamente (cfr. il comma 9-bis, terzo periodo, dell’articolo 6 del decreto legislativo n. 471 del 1997).

DEFINIZIONE LITI

Errore incolpevole

Domanda. Diversamente da quanto è accaduto per la rottamazione quater, per la quale il sito dell’Ader forniva tutti i dettagli per l’adesione alla speciale procedura, per la definizione delle controversie tributarie (articolo 1, commi da 186 e seguenti, legge 197/2022), non era possibile reperire alcun dato ufficiale in relazione ai pagamenti eseguiti nelle more del giudizio. Nella maggior parte dei casi, si tratta di somme affidate alla riscossione e pertanto di difficile imputazione rispetto ai diversi codici tributo dovendosi scomputare da quanto versato gli oneri della riscossione. Nell’ipotesi in cui nella ripartizione delle somme versate il contribuente avesse erroneamente determinato il saldo dovuto, quali conseguenze rischia rispetto alla definizione? L’Agenzia prima di negare il perfezionamento, inviterà l’interessato a versare eventuali differenze?

Risposta. Al riguardo, stante il rinvio alle disposizioni di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, contenuto nel comma 194, si ritiene che trovi applicazione la normativa sul c.d. «lieve inadempimento», contenuta nei commi 3 e 4 dell’articolo 15-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, cui rinvia il comma 4 del citato articolo 8, come già affermato dalla circolare 27 gennaio 2023, n. 2/E, pag. 28.
La disciplina del lieve inadempimento si applica, quindi, in relazione al versamento di quanto dovuto per il perfezionamento della definizione agevolata in esame.
In particolare, si può ritenere che il versamento tardivo o carente dell’importo complessivo delle somme dovute per la definizione della lite o della prima rata nei limiti fissati dal comma 3 del citato articolo 15-ter, non compromette il perfezionamento della definizione agevolata della lite.
Inoltre, in caso di versamento rateale, sono applicabili il comma 2 dell’articolo 15-ter, secondo cui il mancato pagamento di una delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva comporta la decadenza dal beneficio della rateazione, e il successivo comma 3, che esclude la decadenza dalla rateazione in presenza di lieve inadempimento.
Ai sensi del comma 5 dello stesso articolo 15-ter, in tutti i casi in cui si configura il lieve inadempimento, l’Ufficio procede all’iscrizione a ruolo «dell’eventuale frazione non pagata, della sanzione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, commisurata all’importo non pagato o pagato in ritardo, e dei relativi interessi».
A norma del successivo comma 6 dell’articolo 15-ter, tale iscrizione a ruolo non è eseguita se il contribuente si avvale del ravvedimento operoso di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, entro il termine di pagamento della rata successiva ovvero, in caso di ultima rata o di versamento in unica soluzione, entro novanta giorni dalla scadenza del termine previsto per il versamento.
Al riguardo si evidenzia inoltre che, considerate le specifiche finalità deflattive del contenzioso, proprie della definizione agevolata in esame, si ritiene opportuno che gli Uffici, in un’ottica di collaborazione con il contribuente e di non aggravamento del procedimento amministrativo, in presenza di errori incolpevoli dovuti, ad esempio, alla complessità del calcolo delle somme da versare che, pur eccedendo i limiti del lieve inadempimento, non siano incompatibili con l’evidente volontà di definizione della lite tempestivamente espressa, prima della emissione del provvedimento di diniego, invitino il contribuente a regolarizzare le carenze riscontrate.
In caso di errore incolpevole, si ritiene, quindi, applicabile la disciplina del lieve inadempimento, ma l’Ufficio, attraverso la valutazione del singolo caso specifico, può, in ogni caso, invitare il contribuente alla regolarizzazione, in caso di complessità di calcolo delle somme dovute.

Interesse da rateazione

Domanda. È molto frequente che per le somme dovute da un contribuente in pendenza di giudizio sia richiesta la rateazione all’Agente della riscossione. In queste ipotesi, gli interessi da rateazione pagati, come devono essere considerati ai fini delle somme già versate in pendenza di giudizio per la determinazione del dovuto? In particolare, occorre comprendere se tali interessi siano da considerare in favore dell’Ader e quindi non scomputabili dal totale dovuto per la definizione ovvero in favore dell’Agenzia e, quindi, scomputabili.

Risposta. Ai sensi dell’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, il contribuente che dichiara di versare in una situazione di temporanea ed obiettiva difficoltà, può chiedere all’agente della riscossione la rateizzazione relativa al pagamento delle somme iscritte a ruolo. Inoltre, sulle somme il cui pagamento è stato rateizzato ai sensi della disposizione anzidetta, si applicano gli interessi di cui all’articolo 21 del medesimo Dpr, i quali, in base al successivo articolo 22, spettano all’ente destinatario del gettito delle imposte cui si riferiscono.
Tanto premesso, se versati in pendenza di giudizio, tali interessi saranno scomputabili dal totale dovuto per la definizione agevolata della controversia ai sensi dell’articolo 1, comma 196, legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023).
Le suddette conclusioni risultano confermate dalla circolare 1° aprile 2019, n. 6/E (cfr. il paragrafo 5.2), che, nel commentare il comma 9 dell’articolo 6 del decreto-legge n. 119 del 2018, sostanzialmente analogo al richiamato comma 196 dell’articolo 1 della legge di bilancio per il 2023 (in base al quale: «Dagli importi dovuti ai fini della definizione agevolata si scomputano quelli già versati a qualsiasi titolo in pendenza di giudizio»), ha chiarito che:
«Più specificamente, l’importo da versare per la definizione, cosiddetto “importo netto dovuto”, si calcola al netto di:
a) somme pagate prima della presentazione della domanda di definizione a titolo di riscossione provvisoria in pendenza del termine di impugnazione dell’atto ovvero in pendenza del giudizio. Possono essere scomputati tutti gli importi di spettanza dell’Agenzia delle entrate pagati, in particolare, a titolo provvisorio, per tributi, sanzioni amministrative, interessi, sempre che siano ancora in contestazione nella lite che si intende definire. Si ritiene che tra le somme scomputabili rientrino altresì gli interessi per dilazione del pagamento delle somme iscritte a ruolo o affidate. In sintesi, vanno scomputati tutti gli importi in contestazione di spettanza dell’Agenzia delle entrate, già pagati in esecuzione dell’atto impugnato. Sono esclusi gli importi di spettanza dell’agente della riscossione (aggi, spese per le procedure esecutive, spese di notifica, ecc. (…)».

CONTENZIOSO TRIBUTARIO

Obbligati solidali

Domanda. In caso di accertamento notificato in via solidale a più soggetti, impugnato solo da uno di essi, in presenza di sentenza favorevole non definitiva a favore del contribuente che annulla integralmente l’atto impositivo, sono ammesse azioni esecutive in capo agli altri soggetti che non hanno impugnato l’atto?

Risposta. Ai sensi dell’articolo 1306 del codice civile, primo comma:
«La sentenza pronunziata tra il creditore e uno dei debitori in solido, o tra il debitore e uno dei creditori in solido, non ha effetto contro gli altri debitori o contro gli altri creditori».
Il comma secondo della medesima disposizione stabilisce, tuttavia, che:
«Gli altri debitori possono opporla al creditore, salvo che sia fondata sopra ragioni personali al condebitore …».
Sulla base di un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, «il peculiare effetto sancito dall’art. 1306 c.c., secondo comma, presuppone, per il suo dispiegarsi, il passaggio in giudicato della sentenza…», con la precisazione secondo la quale «l’eventuale anticipazione di efficacia della sentenza rispetto a tale momento è possibile solo rispetto alle statuizioni di condanna, che invece difettano nel caso di una impugnazione del contribuente avverso l’atto impositivo dell’amministrazione finanziaria, atteso che il relativo giudizio è diretto a riscontrare l’esistenza delle ragioni di annullamento dedotte con il ricorso» (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 7783 del 19 maggio 2003; sentenza n. 7334 del 19 marzo 2008; ordinanza n. 17073 del 14 giugno 2023).
Ciò precisato, ne consegue che i coobbligati rimasti inerti, non avendo impugnato l’atto impositivo:
- non possono opporre al creditore la sentenza favorevole, non definitiva, emessa nei confronti di un altro coobbligato e
- non potendo beneficiare della sentenza anzidetta, restano soggetti alle azioni esecutive.

TERZO SETTORE

Regime Iva delle ex-Onlus

Domanda. Molte strutture educative e assistenziali sono gestite da cooperative sociali, che erano Onlus di diritto. Le cooperative sociali sono diventate imprese sociali di diritto (articolo 1, comma 4 del Dlgs n. 112/2017), cioè enti del terzo settore commerciali (articolo 11, comma 3, Dlgs 117/2017 – iscrizione nel registro delle imprese). L’ articolo 10, comma 1, numeri 19, 20 e 27-ter) concedeva l’esenzione da Iva a tutte le Onlus e ora solo agli Ets non commerciali. Come va applicata questa disposizione, considerando che non vi sono motivi per far applicare l’imposta sui corrispettivi, che sarebbe ad aliquota ordinaria del 22%?

Risposta. Ai sensi della disposizione di cui al n. 1) della parte II-bis della Tabella A, allegata al Dpr 633 del 1972, «le prestazioni di cui ai numeri 18), 19), 20), 21) e 27-ter) dell’articolo 10, primo comma, rese in favore dei soggetti indicati nello stesso numero 27-ter) da cooperative sociali e loro consorzi» sono assoggettate all’aliquota Iva del 5 per cento.
In base alle vigenti disposizioni, dunque, le cooperative sociali applicano l’aliquota ridotta alle prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed educative, ove tali servizi siano resi in favore dei soggetti svantaggiati indicati nello stesso numero 27-ter) del primo comma dell’articolo 10 del Decreto Iva. Ai fini dell’applicabilità del regime Iva di favore, non rileva la natura di ente del terzo settore commerciale o non commerciale della cooperativa sociale.
Si segnala, inoltre, che dal 1° gennaio 2016 alle cooperative sociali non è più concessa la facoltà di optare per il regime di maggior favore (esenzione) previsto per le Onlus di cui al decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460 (cfr. la circolare n. 31/E del 15 luglio 2016).
In presenza dei requisiti di cui al citato n. 1) della parte II-bis della Tabella A, allegata al Dpr 633 del 1972, quindi, le cooperative sociali applicano alle prestazioni sopra descritte l’aliquota Iva del 5 per cento.
Pertanto, facendo riferimento alle “cooperative sociali”, il quesito in esame non sembra tener conto della normativa vigente, atteso che tali soggetti, anche a seguito dell’entrata in vigore delle disposizioni di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112, continuano ad applicare l’aliquota del 5 per cento ai sensi del citato n. 1) della parte II-bis della Tabella A, allegata al Dpr 633 del 1972.

Donazione beni obsoleti

Domanda. A seguito della decisione di modificare il piano vendite, un’azienda che produce indumenti sceglie di donare i prodotti non più commercializzati ad un Ets. L’azienda intende donare all’Ets altresì beni strumentali (computer), obsoleti rispetto alle esigenze dell’azienda. L’azienda potrà fruire della disciplina fiscale della legge 166/2016 (c.d. “Legge antisprechi”), con esclusione dell’applicazione dell’Iva sulle cessioni gratuite sia per la donazione di beni merce che per i computer?

Risposta. Il quesito in esame trova soluzione alla luce dei chiarimenti forniti con la risposta ad istanza di consulenza giuridica del 22 giugno 2021, n. 8, alla quale, pertanto, si rinvia.
Con tale risposta, è stato precisato, in particolare, che possono considerarsi ricompresi nell’ambito applicativo dell’articolo 16, comma 1, lettere d), d-bis) e d-ter), della legge n. 166 del 2016, i beni ivi indicati (tra cui prodotti tessili e di abbigliamento e personal computer), a condizione che:
“- siano ceduti gratuitamente ai soggetti indicati all’articolo 2, comma 1, lettera b) della medesima legge;
- siano ancora astrattamente idonei all’utilizzo;
- non siano più commercializzati, ossia non siano più presenti nei canali distributivi, avendo esaurito il loro ciclo di vita commerciale ed avendo subito una rilevante riduzione di valore economico, tale da non renderne comunque più conveniente la vendita (ad esempio, beni rimasti pressoché privi di valore commerciale e ritirati dal circuito di vendita in quanto obsoleti, per tecnologia o per design) o comunque non più rispondenti alle esigenze di mercato; oppure
- non siano più idonei alla commercializzazione a causa di imperfezioni, alterazioni, danni o vizi del prodotto o del suo imballaggio o di altri motivi simili, legati alle caratteristiche intrinseche del bene stesso, che ne alterano in modo rilevante il valore economico”.
Trattasi di beni che, se non fossero oggetto di donazione, sarebbero destinati ad essere distrutti o a costituire un rifiuto o uno scarto.
Come noto, la cessione gratuita dei beni in questione (qualora avvenga alle condizioni e secondo la procedura descritte nello stesso articolo) è equiparata alla loro distruzione. In tali casi, dunque, la cessione gratuita dei beni sopra indicati non è soggetta ad Iva, con il mantenimento, in capo al donante, del diritto alla detrazione dell’imposta assolta all’atto dell’acquisto o dell’importazione delle merci o delle materie prime per i quali è stata cambiata la destinazione.

FISCALITÀ DELLA CRISI DI IMPRESA

Transazione fiscale

Domanda. A differenza dell’articolo 88 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, che disciplina la transazione fiscale nel concordato preventivo, l’articolo 63 dello stesso Codice, che disciplina il medesimo istituto nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, non dispone il divieto di trattamento deteriore dei crediti tributari rispetto ai crediti di rango inferiore (cioè assistiti da una causa di prelazione avente grado posteriore o chirografari). Si chiede conferma che deve trarsene la conseguenza che, mentre tale divieto sussiste nel concordato preventivo, non ricorre nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione.

Risposta. La non deteriorità del trattamento presuppone la rilevanza delle cause di prelazione e, quindi, del principio della par condicio creditorum che non vige nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, stante la sua natura principalmente negoziale.
Resta, tuttavia, fermo che le cause di prelazione ed il relativo ordine inderogabile devono essere rispettati ai fini della determinazione della presunta somma spettante all’Erario per l’ipotesi di liquidazione giudiziale, con possibilità di falcidia (rectius, degradazione a chirografario del credito privilegiato) consentita soltanto in caso di incapienza del valore di liquidazione.

BONUS EDILIZI

Condominio e termini di pagamento

Domanda. Si chiede se un condominio che ha i requisiti per il Superbonus al 110% per i lavori pagati entro il 31 dicembre 2023 e ha anche i requisiti per la cessione del credito, può anticipare i pagamenti dei lavori da effettuarsi nei primi mesi del 2024 (in modo da raggiungere la fine lavori ovvero un SAL qualificato al 30/60%) per poi cedere questo importo (integralmente pagato nel 2023) all’ istituto di credito con comunicazione della cessione entro il 16 marzo 2024. Oppure è necessario che pagamenti e lavori realizzati siano allineati in un Sal riferito al 31 dicembre 2023 ed i lavori realizzati successivamente (pagati entro il 2023) non sono più cedibili?

Risposta. Il comma 13 dell’articolo 119 del decreto-legge n. 34 del 2020 stabilisce che, per esercitare l’opzione per la cessione o per lo sconto in fattura (prevista dall’articolo 121 del medesimo decreto-legge), il contribuente deve richiedere il visto di conformità dei dati relativi alla documentazione, che attesta la sussistenza dei presupposti che danno diritto alla detrazione d’imposta per gli interventi agevolabili con il Superbonus e l’asseverazione, da parte di un tecnico abilitato, che consente di dimostrare che l’intervento realizzato è conforme ai requisiti tecnici richiesti e che attesti anche la corrispondente congruità delle spese sostenute in relazione agli interventi agevolati.
Le asseverazioni, di cui sopra, come disposto dal successivo comma 13-bis del medesimo articolo 119, è rilasciata al termine dei lavori o per ogni stato di avanzamento dei lavori, sulla base delle condizioni e nei limiti di cui all’articolo 121.
Pertanto, nel caso in esame, sarà possibile usufruire del Superbonus, nella misura del 110 per cento, per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2023, che trovino corrispondenza in un Sal riferito al 31 dicembre 2023.

Fattura con sconto parziale

Domanda. Nel caso di una fattura di sconto parziale (Superbonus senza sconto integrale o sconto integrale ma con bonus ordinari) emessa a fine dicembre 2023 ma con quota a carico del contribuente pagata nel 2024, quando si considera effettuato il pagamento ai fini del “principio di cassa”? Una fattura con sconto integrale (Superbonus 110%) relativa ad un’operazione effettuata il 31 dicembre 2023 ma inviata allo SDI il 10 gennaio 2024, ai fini del “principio di cassa” determina una spesa sostenuta nel 2023 o nel 2024?

Risposta. Con la circolare n. 24/E del 2020 è stato chiarito che anche ai fini del Superbonus, di cui all’articolo 119 del decreto legge n. 34 del 2020 (decreto Rilancio,) il pagamento delle spese per l’esecuzione degli interventi, salvo l’importo del corrispettivo oggetto di sconto in fattura, deve essere effettuato mediante bonifico bancario o postale dal quale risulti la causale del versamento, il codice fiscale del beneficiario della detrazione ed il numero di partita Iva ovvero il codice fiscale del soggetto a favore del quale il bonifico è effettuato.
Le predette indicazioni relative alle modalità di pagamento valgono anche per i Bonus diversi dal Superbonus.
Nella medesima circolare è stato, inoltre, ribadito che, in applicazione dei principi generali, ai fini dell’individuazione del periodo d’imposta in cui imputare le spese, occorre fare riferimento, per le persone fisiche, compresi gli esercenti arti e professioni, e gli enti non commerciali, al criterio di cassa e, quindi, alla data dell’effettivo pagamento, indipendentemente dalla data di avvio degli interventi cui i pagamenti si riferiscono e che, ai fini del Superbonus, in caso di sconto “integrale” in fattura (e, dunque, in assenza di un pagamento), si può fare riferimento - in luogo della data dell’effettivo pagamento - alla data di emissione della fattura da parte del fornitore (cfr. sul punto, la risposta ad istanza di interpello dell’8 febbraio 2021, n. 90).
Pertanto, nel caso prospettato, considerato che la quota a carico del contribuente sarà pagata nel 2024, la spesa si considera sostenuta, in applicazione del criterio di cassa, in tale anno.
Nell’ipotesi dello sconto «integrale», poiché la fattura si considera emessa al momento della sua trasmissione tramite lo SDI, nel caso prospettato nella domanda, si ritiene che la spesa debba considerarsi sostenuta nel 2024.

Lavori a cavallo d’anno e pagamento totale nel secondo anno

Domanda. Basandosi sulla risposta delle Entrate del 31 gennaio 2022, n. 56, è corretto dire che, se nel 2022 sono stati effettuati lavori agevolati con il superbonus per 2.000 euro e nel 2023 sono stati effettuati lavori per 8.000 euro, il relativo pagamento di 10.000 euro, effettuato tutto nel 2023, può essere oggetto di cessione per la sua totalità, «in applicazione del cd. criterio di cassa», se nel 2023 viene raggiunto un Sal di almeno il 30% dell’intervento, considerando sia quanto effettuato nel 2022 (2.000 euro) che quanto effettuato nel 2023 (8.000 euro)?

Risposta. Con la circolare 23 giugno 2022, n. 23/E (paragrafo 5.2), è stato precisato che, ai fini dell’esercizio dell’opzione per lo sconto in fattura relativamente all’importo indicato nella stessa a fronte di un SAL pari ad almeno il 30 per cento degli interventi, non rileva l’eventuale circostanza che gli interventi siano realizzati in periodi d’imposta diversi.
Ciò implica, ad esempio, che nel caso di interventi iniziati nell’anno 2022, può essere esercitata l’opzione per lo sconto relativamente a una fattura emessa a SAL nel 2023, qualora riferita ad almeno il 30 per cento degli interventi realizzati fino a quel momento (in parte nel 2022 e in parte nel 2023).
Qualora il Sal emesso non si riferisca ad almeno il 30 per cento degli interventi realizzati fino a quel momento, è possibile fruire, per i corrispondenti importi fatturati, solo della detrazione nella dichiarazione dei redditi.
Di conseguenza, nell’ipotesi prospettata con il quesito, si ritiene che possa essere oggetto di cessione l’intero importo pagato nel 2023 a fronte di un Sal emesso, che rendiconta il raggiungimento del 30 per cento dell’intervento.

FLAT TAX

Tassa piatta e imprenditori agricoli

Domanda. La circolare n. 18/E del 2023 include tra i soggetti ammessi a beneficiare della tassa piatta incrementale anche gli imprenditori agricoli individuali che accedono al regime di cui agli articoli 56, comma 5, e 56-bis del Tuir, limitatamente ai redditi d’impresa prodotti. È corretto affermare che possano rientrare nel regime anche gli imprenditori agricoli individuali che svolgono attività produttive di reddito di impresa determinato forfettariamente (produzione di energia elettrica, agriturismo, oleoturismo, enoturismo) che, al pari di quelli indicati nella circolare, compilano il quadro RD del modello Redditi?

Risposta. La legge 29 dicembre 2022, n. 197 (c.d. legge di bilancio per il 2023), all’articolo 1, commi da 55 a 57, ha introdotto un regime agevolativo opzionale, c.d. “tassa piatta incrementale” o “flat tax incrementale”, limitatamente all’anno d’imposta 2023, sostitutivo dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e delle relative addizionali regionale e comunale.
In particolare, al comma 55, è stabilito che sono destinatari della disposizione «[…] i contribuenti persone fisiche esercenti attività d'impresa, arti o professioni, diversi da quelli che applicano il regime forfetario di cui all’articolo 1, commi da 54 a 89, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 […]».
Con la circolare del 28 giugno 2023, n. 18/E, recante chiarimenti interpretativi in merito al regime della “tassa piatta incrementale”, al paragrafo 1.1, è stato puntualizzato, tra l'altro, che possono fruire del beneficio fiscale anche gli imprenditori agricoli individuali che accedono al regime di cui agli articoli 56, comma 5, e 56-bis del TUIR, limitatamente ai redditi d’impresa prodotti.
Com’è noto, i redditi di cui ai citati articoli 56, comma 5, e 56-bis ancorché determinati forfetariamente, costituiscono redditi d’impresa e confluiscono nel quadro RD; pertanto, si ritiene che, in linea con i suddetti chiarimenti, possono fruire della flat tax incrementale anche gli imprenditori agricoli titolari di reddito d’impresa, determinato forfetariamente e indicato nel quadro RD, che sia conseguito nello svolgimento delle altre attività agricole connesse, quali la produzione di energia elettrica, l’agriturismo, l’oleoturismo, l’enoturismo.

REDDITO D’IMPRESA

Trasformazione agevolata in società semplice e tassazione riserve di utili

Domanda. Le società di capitali che si trasformano in società semplici avvalendosi delle disposizioni della legge 197/2022 devono procedere ad imputare ai soci, nel primo periodo di imposta successivo alla trasformazione, le riserve costituite antecedentemente, con conseguente tassazione secondo modalità ordinarie (cfr. Circolare 26/E/2016, pag. 42). Si chiede se la tassazione, in presenza di soci persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di impresa, debba effettuarsi:
- mediante assoggettamento dell’importo che costituisce reddito alla ritenuta di imposta del 26% di cui all'art. 27 del Dpr 600/1973, ancorché tale norma non contempli le società di persone tra i sostituti di imposta, oppure
- mediante imputazione del reddito ai soci per trasparenza nella dichiarazione mod. Redditi SP relativa al primo esercizio di esistenza della società semplice.
Nel primo caso, si chiede inoltre quale sia il termine per il versamento della ritenuta.

Risposta. La circolare 1° giugno 2016, n. 26/E (cfr. il Capitolo III, pagina 42), dopo aver ribadito che la trasformazione di una società di capitali in società semplice, determina il passaggio da un soggetto esercente attività d’impresa ad un altro cui detta attività (per espressa previsione civilistica) è preclusa e che tale operazione costituisce, quindi, un’ipotesi di destinazione dei beni a finalità estranee all’esercizio d'impresa, ha, altresì, precisato che le riserve costituite prima della trasformazione sono da imputare ai soci nel periodo d’imposta successivo alla trasformazione medesima, con conseguente tassazione secondo le regole ordinarie.
A tale riguardo, si fa presente che l’articolo 170 del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 (Tuir), dettato in materia di trasformazione omogenea regressiva da società di capitali a società di persone, stabilisce, al comma 5, che:
«Le riserve (costituite prima della trasformazione, ndr) sono assoggettate ad imposta secondo il regime applicabile alla distribuzione delle riserve delle società di cui all’articolo 73».
Pertanto, in base a tale disposizione, alla distribuzione o imputazione ai soci di tali riserve, ancorché ciò avvenga dopo la trasformazione in società di persone, «continua» ad applicarsi il medesimo regime stabilito per la distribuzione delle riserve delle società di capitali, in considerazione del fatto che tali riserve si sono formate proprio in costanza di tale forma societaria (di capitali).
Nel contesto del regime fiscale applicabile alla distribuzione delle riserve delle società di capitali, si colloca l’articolo 27, comma 1, del decreto del Presidente della repubblica n. 600 del 1973, in base al quale è prevista l’applicazione di una ritenuta a titolo di imposta nelle misura del 26% sugli utili corrisposti alle persone fisiche residenti in relazione alle partecipazioni - qualificate e non qualificate - da parte delle società e degli enti indicati nelle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 73 del Tuir.
Ciò posto, in base al tenore letterale della richiamata disposizione, le società semplici (risultanti dalla trasformazione) non rientrerebbero tra i soggetti tenuti ad applicare la ritenuta.
Tuttavia, non si ravvisano motivi di ordine logico-sistematico per negare l’applicazione della predetta ritenuta, qualora le società semplici risultanti dalla trasformazione di una società di capitali imputino ai propri soci i redditi conseguiti dalla società di capitali trasformanda.
In tali ipotesi, infatti, proprio in applicazione del richiamato principio di cui all’articolo 170, comma 5 del Tuir, deve ritenersi che la società semplice subentri, trattandosi del medesimo soggetto giuridico, nell’assolvimento degli obblighi – ivi inclusi quelli propri dei sostituti d’imposta – già facenti capo alla società di capitali trasformanda e sorti fino o contestualmente al momento della trasformazione per effetto della sua fuoriuscita dal regime d’impresa.
Nel caso in esame, la ritenuta deve essere versata entro il 16 aprile del periodo d’imposta successivo alla trasformazione.

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