Imposte sui redditi, le somme agli eredi rilevano per cassa
Non c’è equiparazione con il socio e non si applica il principio di trasparenza
In base all’articolo 20-bis del Tuir hanno rilevanza, ai fini delle imposte sui redditi, le somme attribuite o i beni assegnati ai soci di società di persone o ai loro eredi, nei casi (per i soci) di recesso, esclusione e riduzione del capitale e (per gli eredi) di liquidazione della quota a fronte della morte del socio. Per la determinazione di tale reddito si applicano le disposizioni di cui all'articolo 47, comma 7 del Tuir, il quale, nell'ambito dei redditi di capitale e per analoghe fattispecie relative a soci di società di capitali, prevede che le somme ricevute costituiscono utile «per la parte che eccede il prezzo pagato per l'acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote».
Se il periodo di tempo intercorso tra la costituzione della società e il recesso o l'esclusione del socio, la deliberazione di riduzione del capitale, l'inizio della liquidazione sociale o la morte del socio, è oltre cinque anni, il reddito è soggetto a tassazione separata ex articolo 20, comma 1, lettera l) Tuir.
L'articolo 20-bis, che qualifica tali redditi come redditi da partecipazione, non stabilisce il momento di rilevanza degli stessi. Si rammenta che, in linea generale, i redditi delle società di persone sono imputati a ciascun socio per trasparenza, ex articolo 5 del Tuir, indipendentemente dalla effettiva percezione. Colui che è receduto dalla società, tuttavia, non è più socio della stessa, così come non è socio l'erede al quale spetti la liquidazione della quota del de cuius. In particolare, in base all'articolo 2284 del Codice civile, l'erede del de cuius che era socio di una società di persone (diverso dall'accomandante di una Sas), il quale non sottoscriva un accordo di continuazione con i soci superstiti, ha diritto solo alla liquidazione del valore della quota, salvo che i superstiti preferiscano liquidare la società, La morte del socio illimitatamente responsabile di società di persone comporta infatti l'estinzione del rapporto partecipativo e l'insorgenza in capo agli eredi, che non assumono la qualità di soci, di un mero diritto di credito.
L'erede (così come il socio receduto) si trova quindi in una posizione giuridica che non è equiparabile a quella del socio, per cui non può essere esteso all'erede il principio di tassazione per trasparenza, secondo il quale i redditi delle società di persone sono tassabili in capo ai soci indipendentemente dall'effettivo incasso.
La Suprema corte ha affrontato tale fattispecie pronunciandosi nell'ambito di un procedimento penale, conseguente alla denuncia per avere omesso di dichiarare un reddito nei confronti di un erede che, dopo molti anni dalla morte del de cuius, aveva trovato un accordo transattivo con il socio superstite, arrivando così a definire l'importo che gli spettava a titolo di liquidazione della quota. Secondo l'accusa tali somme avrebbero dovuto essere dichiarate, a prescindere dall'effettivo incasso, nel periodo d'imposta in cui era stata raggiunta la transazione, dalla quale discendeva la certezza e oggettiva determinabilità del diritto di credito dell'erede.
La Corte di cassazione (sezione 3 penale, sentenza 1° marzo 2023 n. 8743), per le ragioni sopra esposte ha affermato che, non essendo la posizione dell'erede equiparabile a quella del socio, nei confronti dell'erede non trova applicazione il principio di trasparenza ex articolo 5 Tuir e che, pertanto, la tassazione dei redditi disciplinati dall'articolo 20-bis avviene secondo gli ordinari criteri di cassa, dunque solo a fronte dell'effettiva percezione degli stessi. Tale ricostruzione interpretativa è coerente con il fatto che l'articolo 47, comma 7, richiamato dall'articolo 20-bis, espressamente prevede che hanno rilevanza le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci e non quelli a essi meramente spettanti.