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Leasing immobiliare con Iva: ancora uno stop all’uso del plafond per l’esportatore abituale

La risposta a interpello 304 ribadisce il no alla dichiarazione d’intento: effetto equivalente all’acquisizione

di Fabio Babolin

L’esportatore abituale non può utilizzare il plafond Iva per l’acquisto di servizi di locazione finanziaria immobiliare senza l’applicazione dell’imposta. La conferma arriva dalla risposta a interpello 304/2020 dell’agenzia delle Entrate.

I precedenti
Al riguardo, l’amministrazione finanziaria si era già espressa in passato sul tema, negando di fatto la possibilità di servirsi della dichiarazione di intento per l’acquisto di prestazioni di servizi relativi a contratti di locazione finanziaria immobiliare o a contratti di appalto per la costruzione di fabbricati (si vedano, in particolare, la circolare 145/E del 10 giugno 1998 e, più di recente, il principio di diritto 14 del 2019). Ciò in base all’interpretazione dell’articolo 8, comma 1, lettera c, del Dpr 633/72, in virtù del quale costituiscono operazioni non imponibili Iva (e pertanto meritevoli del beneficio) le sole cessioni di beni «diversi dai fabbricati e dalle aree edificabili» nei confronti dei soggetti che sono qualificati come esportatori abituali.

L’agenzia delle Entrate motiva la propria tesi sostenendo che i contratti di leasing/appalto immobiliare realizzano un effetto equivalente all’acquisizione dell’immobile, pertanto «l’esclusione è evidentemente da estendere a tali modalità di acquisizione dei fabbricati stessi».

La giurisprudenza
Va tuttavia considerato il diverso orientamento della giurisprudenza, secondo il quale risulta necessario dimostrare la volontà delle parti contraenti e l’effettivo trasferimento della proprietà del bene alla scadenza del rapporto contrattuale di leasing (ex multis Cassazione, sentenza 1362 del 8 febbraio 2000, n. 2888 del 27 febbraio 2001, n. 23329 del 15 ottobre 2013; Ctr Lombardia, sentenza 616 del 16 febbraio 2017).

Nessun diritto ad acquisire la proprietà
Infine, va evidenziato che nella fattispecie oggetto dell’interpello la società istante precisava che i contratti di leasing finanziario prevedessero originariamente la mera facoltà in capo al conduttore di esercitare il diritto di riscatto, e che, a seguito della risoluzione di questi ultimi, la stessa società si fosse accordata con l’utilizzatore per addebitare i canoni per l’utilizzo dell’immobile negli anni precedenti non ancora fatturati, qualificandoli nella sostanza come prestazioni di servizi per la concessione in uso del compendio immobiliare stesso, senza che l’utilizzatore potesse vantare alcun diritto di acquisirne la proprietà.

Le prospettive
La risposta in esame, a parere di chi scrive, potrebbe essere riconsiderata, alla luce del fatto che le parti, ancorché originariamente vincolate da un contratto di leasing immobiliare, si sono accordate in seguito di non effettuare alcuna traslazione della proprietà dei beni, e si sono limitate ad addebitare dei costi per l’uso/utilizzo dell’immobile in un determinato arco temporale, verificandosi pertanto una fattispecie ontologicamente diversa da quella vietata dall’articolo 8, comma 1, lettera c), del Dpr 633/72, che sembrerebbe legittimare l’utilizzatore esportatore abituale a poter inviare la dichiarazione di intento al proprio locatore/concedente.