Liti pendenti, un aiuto (limitato) alla voluntary
La manovrina contiene all’articolo 11, già presente nella prima stesura del Dl 50, la «Definizione delle controversie tributarie» e il nuovo articolo 1-ter, introdotto in sede di conversione dalla legge 96/2017, afferente le «Modifiche alla disciplina della voluntary disclosure».
I due istituti sembrerebbero dissociati ma come si può vedere così non è. Le novità in materia di voluntary disclosure 2.0 scaturiscono dall’esigenza di andare a colmare i mancati introiti previsti dalla sua riedizione che, secondo le previsioni iniziali, avrebbe dovuto permettere allo Stato italiano di incassare 2 miliardi di euro.
Le modifiche introdotte tentano di arginare i mancati incassi apportando alcuni correttivi, tra cui l’esonero dagli obblighi dichiarativi previsto dalla legge anche con riferimento all’Ivie e all’Ivafe; inoltre, viene disposto che le sanzioni ivi previste non si applichino al caso di mancato o insufficiente versamento spontaneo delle somme dovute, bensì all’ipotesi in cui non si provveda spontaneamente al versamento delle somme dovute entro i termini di legge.
Il paradosso è che nonostante i correttivi introdotti dal citato articolo 1-ter, il Governo sia già conscio che l’obiettivo prefissato resta una chimera (o quasi). Motivo per cui all’interno della manovrina è stata introdotta una sorta di salvaguardia. Lo si vede anche dalla scheda di lettura elaborata dal Senato per l’articolo 11 in materia di definizione delle liti, secondo cui «ove invece vi fossero ulteriori introiti rispetto alle maggiori entrate previste, essi possono essere destinati: prioritariamente, a compensare l’eventuale mancata realizzazione dei maggiori introiti derivanti dalla riapertura dei termini per la collaborazione volontaria in materia fiscale».
Resta ora da chiedersi se la definizione sia in grado di ottenere tale risultato o se invece occorra prevedere una qualche garanzia, per rimanere in tema, alla clausola di salvaguardia. È indubbio che l’attuale impianto normativo si discosta molto dalla precedente edizione contenuta nel Dl 98/2011, basata su un sistema premiale per gradi:
• 150 euro fofettari per liti di valore fino a 2mila euro;
• pagamento del 10% del valore per liti fino a 20mila in caso di soccombenza delle Entrate e del 50% in caso di soccombenza del contribuente;
• pagamento del 30% del valore della lite fino a 20mila euro in caso di lite pendente in primo grado.
Come già rilevato su queste colonne da autorevoli commentatori, la mancanza di gradualità rischia di penalizzare la riuscita dell’operazione.
L’ulteriore perplessità scaturisce dal fatto che si debbano aggiungere altri oneri al costo “puro” della definizione della lite costituito, in generale, dal solo «pagamento di tutti gli importi di cui all’atto impugnato che hanno formato oggetto di contestazione di un primo grado e degli interessi da ritardata iscrizione a ruolo» e dalle spese del processo estinto che «restano a carico della parte che le ha anticipate».
Si pensi ai costi accessori come le fideiussioni. Si ipotizzi ad esempio che un contribuente abbia un giudizio pendente in commissione regionale, dopo aver vinto in primo grado, e che trovandosi stabilmente a credito Iva abbia presentato richiesta di rimborso rilasciando fideiussione per il contenzioso pendente. Con ogni probabilità, nel caso in cui dovesse decidere di aderire alla definizione agevolata, dovrà farsi carico anche del costo della fideiussione che, invece, in caso di vittoria gli sarebbe stato rimborsato secondo quanto stabilito dall’articolo 8 della legge 212/2000 e ribadito dalla Cassazione (19751/2013).