Adempimenti

Logiche di economicità per definire un ente del Terzo settore

Superato il concetto di imprendiitorialità previsto dal Tuir. Non commerciali gli enti che lavorano gratis

di Gabriele Sepio e Thomas Tassani

Con l’operatività del Registro unico (Runts), saranno molte le realtà non profit che decideranno di assumere la qualifica di ente del Terzo settore (Ets). E proprio in questo contesto, uno dei fattori da considerare riguarda il requisito della commercialità/non commercialità, da valutarsi in base ai nuovi parametri normativi. In sostanza, si tratterà di verificare, secondo i criteri individuati dall’articolo 79 del Dlgs 117/2017 (Codice del Terzo settore o Cts), quando le attività di interesse generale svolte dall’ente possano considerarsi commerciali o meno. Un vero e proprio cambio di paradigma se si pensa che fino ad oggi le realtà non profit quale parametro di riferimento hanno preso in considerazione il Tuir. Testo, quest’ultimo, che non conteneva una specifica declinazione della commercialità per gli enti non profit, limitandosi a rinviare ad alcune norme del Codice civile e qualificando come commerciali le attività aventi carattere “imprenditoriale” ovvero rese a fronte di prestazione di servizi (articolo 2195 Codice civile) o in presenza di una organizzazione.

L’economicità dell’ente

Nelle realtà del terzo settore, l’elemento maggiormente significativo è però quello della “economicità”, considerato in qualche modo presupposto della commercialità, e consistente in un modello gestionale idoneo a garantire che i ricavi siano almeno idonei a coprire i costi di produzione.Coerentemente con questa logica, e nel tentativo di condurre ad una maggiore certezza giuridica, l’articolo 79 del Cts determina la commercialità dell’ente alla luce della economicità.

La non commercialità

In altri termini, gli Ets, per inquadrare un’attività come commerciale o meno, dovranno operare un raffronto tra costi e ricavi considerando come non commerciali le attività svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superino i costi effettivi. Non commercialità che potrà tuttavia verificarsi anche in presenza di lievi oscillazioni tra costi e ricavi (nel limite del 5%) a condizione però che questo non si protragga per più di due periodi di imposta consecutivi.

La parametrazione dell’articolo 79 del Cts tiene conto anche delle indicazioni fornite a livello comunitario: secondo la Corte di Giustizia, per escludere il carattere economico di una attività non può essere sufficiente valorizzare lo status giuridico dell’ente o le modalità di finanziamento dell’attività o la circostanza che lo stesso non distribuisca utili (causa C-41/90, Höfnere e C-222/04). Resta, tuttavia, da chiarire come dovrà essere effettuata la valutazione sui costi: se in maniera analitica per ogni singola attività di interesse generale o in via complessiva. Un’ipotesi quest’ultima verso la quale, in attesa di chiarimenti di prassi, si dovrebbe propendere atteso che spesso per le realtà non profit è difficile fare una distinzione tra singole attività.

Se le attività non sono di interesse generale

Attenzione però: per le attività diverse da quelle di interesse generale (articolo 6 Cts) sarà altresì necessario tenere conto di criteri specificamente definiti. Accanto al requisito della strumentalità, che ricorre ogniqualvolta l’attività venga esercitata per la realizzazione delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale dell’ente, gli Ets dovranno rispettare anche quello della secondarietà, per il quale è necessario tener a mente due parametri quantitativi, da utilizzare alternativamente. Occorrerà verificare, infatti, che i ricavi da attività diverse non siano superiori o al 30% delle entrate complessive dell’ente oppure al 66% dei costi complessivi.

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