Imposte

Marchi e avviamenti rivalutati con deduzione fiscale in 50 anni

Per mantenere gli effetti del recupero nel termine più ridotto di 18 anni occorre versare un’altra imposta tra il 9 e il 13%

di Luca Gaiani

Marchi e avviamenti rivalutati, l’ammortamento fiscale si stanzia su 50 anni. Il maxiemendamento al Ddl di Bilancio 2022 conferma la stretta introdotta dal Governo per chi, nel bilancio 2020, ha sfruttato le disposizioni del decreto agosto che consentivano di rivalutare o affrancare fiscalmente gli intangibili che si ammortizzano in 18 anni (marchi e avviamento) pagando l’imposta sostitutiva del 3 per cento. Sarà possibile mantenere il periodo di deduzione originario versando un’ulteriore imposta variabile tra il 9 e il 13 per cento. Potranno infine essere revocati gli effetti fiscali dell’operazione, ma non sono regolati dal legislatore gli effetti della disposizione, potenzialmente dirompenti, sui bilanci delle imprese.

Ammortamento al 2070

Doccia fredda per le imprese che, facendo affidamento sulle norme approvate lo scorso anno dal Parlamento, hanno rivalutato in bilancio i marchi oppure hanno affrancato il valore fiscale di marchi e avviamenti versando l’imposta sostitutiva del 3 per cento. La legge di bilancio 2022, nel testo ormai vicino alla approvazione definitiva, ribalta tutti i calcoli di convenienza delle rivalutazioni di quei beni immateriali per i quali l’articolo 103 del Tuir prevede un ammortamento in 18 anni, portando a 50 anni il recupero fiscale dei maggiori valori. Con il nuovo, lunghissimo periodo di recupero, il punto di pareggio tra onere per imposta sostitutiva (3%) e risparmio fiscale (Ires e Irap, pari al 27,9%) si ottiene al sesto anno (2026) e dunque con il versamento a saldo che si effettuerà a giugno 2027. Solo da lì in avanti, la rivalutazione o l’affrancamento cominceranno a generare benefici, a patto, però, che la società continui ad avere redditi capienti. Non sono interessate dalla penalizzazione le rivalutazioni dei beni materiali, nonché quelle degli intangibili con periodo di ammortamento ordinario inferiore a 18 anni (ad esempio know-how).

Per evitare aggiramenti della norma con trasferimenti a terzi dell’intangibile si prevede che il recupero in 50 anni si trasferisce, da un lato, sulla minusvalenza realizzata dal cedente e, dall’altro, sul residuo costo ammortizzabile dell’acquirente.

La sorte della sostitutiva

Se si intende mantenere l’ammortamento fiscale in diciotto anni, si deve versare una ulteriore imposta sostitutiva fino a raggiungere le misure previste dall’articolo 176 del Tuir e dunque: 9% fino a 5 milioni di valore, 11% tra 5 e 10 milioni e 13% oltre i 10 milioni. Si tratta di una chance che ben poche imprese adotteranno, dato che con queste misure il punto di pareggio tra onere (12%, 14%, 16%) e risparmio (27,9%) si colloca tra l’ottavo e l’undicesimo anno.

Un’altra possibilità è quella di revocare gli effetti fiscali della rivalutazione o del riallineamento di questi intangibili (nonché quelli dell’eventuale affrancamento delle correlate riserve, se effettuato), chiedendo a rimborso oppure compensando in F24 (con modalità da stabilire in un futuro provvedimento delle Entrate) la sostitutiva del 3% già versata. Anche questa operazione dovrà essere attentamente valutata per le sue potenziali ricadute civilistiche.

Bilanci in tilt

Il legislatore “dimentica” completamente gli effetti che l’allungamento sine die del tempo di ammortamento potrebbe causare sui bilanci delle imprese. Si pensi a chi, avendo operato il riallineamento dell’avviamento, ha iscritto a conto economico imposte anticipate. È dubbio che queste attività possano essere mantenute anche a fronte di un recupero fiscale ripartito su 50 anni, cioè su un orizzonte temporale talmente lungo da rendere impossibile ogni stima di continuità e redditività aziendale. Sarebbe opportuno che queste situazioni, che potrebbero comportare oneri rilevanti nei bilanci 2021, fossero disciplinate dal legislatore, introducendo, eventualmente, una deroga specifica ai principi contabili. Più in generale, si dovrebbe consentire alle società che decidessero di revocare gli effetti fiscali della rivalutazione, di ripristinare anche contabilmente i valori originari rettificando il bilancio. Diversamente, la revoca fiscale potrebbe diventare solo virtuale, dato che richiederebbe uno stanziamento di differite passive tale da mandare in tilt il bilancio.

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